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Viktor e Viktoria 1987

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PERSONAGGI
VIKTOR/VIKTORIA – RENATE
ROBERT LOHR, Baronetto, Grande Impresario
GUSTAV HOLLE, Prestigiatore e fantasista
REINHOLD SCHINZLER, regista e attore di cinema
JAKOB SINN, violinista ebreo
FRITZ, gigolò
DOUGLAS, segretario di Sir Lohr / Assistente regista
ELEANOR, fidanzata americana di Sir Lohr
CAMERIERE
(I ruoli dei ballerini/cantanti saranno interpretati da Jakob, da Douglas e dal Cameriere. Ad essi possono anche aggiungersi, volendo, il Regista e/o Gustav Holle)

LA SCENA
La scena è un contenitore multiplo che raffigura un set cinematografico anni 30 e altri ambienti costruiti o suggeriti a vista.
Importante sul fondo, a semicerchio, in modo da permettere la collocazione di tavolini ai lati, una pedana che servirà sia per il Kabarett di Berlino che per il Music Hall di Londra.
I fondali dei due locali notturni cambieranno secondo le indicazioni.

LE CANZONI
(primo tempo) “Johnny” – VIKTORIA
“Das Etwas einer klugen Frau” (Quel certo non so che di una donna scaltra) – VIKTORIA
“Rataplan” - I TRE CANTANTI BALLERINI
“Lola Lola” – VIKTORIA
“La puzsta” – VIKTORIA
“Im Kusse der Berlinerin” (Nel bacio d’una berlinese) – GUSTAV
“Einen Mann, einen richtigen Mann” (Un uomo, un vero uomo) – VIKTORIA

(secondo tempo), Einer schonen Frau“ (Una donna bella) – I TRE CANTANTI/BALLERINI
“Ich bin die Frau der tausend Manner” (Sono la donna dai mille uomini) – VIKTORIA

PRIMO TEMPO

SCENA I – NEANCHE UN FOTOGRAMMA
Viktoria canta la canzone “Johnny“. Quindi esce.
Interno in casa di Gustav Holle. Un grande ambiente che è salotto e camera da letto al tempo stesso. A letto, sotto le coperte si agitano due forme umane. Sono completamente coperte dalle coltri, per cui non se ne individuano i sessi. Le coperte si agitano sempre di più. Dopo un po’ ne esce, seminudo, Fritz, che si riveste nervosamente. Da sotto le lenzuola emerge fino a mezzo busto, nudo anche lui, Gustav, il padrone di casa.
Musica: un allegro motivetto anni 30, del tipo commediola alla Lubitsch.

 

 

GUSTAV: (infastidito) Ma insomma che ti prende, oggi?
FRITZ: (lo guarda storto) Niente. Sono un po’ nervoso.
GUSTAV: Questa crisi di nervi è un bel po’ che ti dura, “cocca”.
FRITZ: T’ho detto tante volte di non chiamarmi “cocca”.
GUSTAV: Non pretenderai che ti chiami “cocco”.
FRITZ: Discutibile, come battuta.
GUSTAV: Be’, discutiamone, allora.
FRITZ: Non mi va. (fruga tra i panni di Gustav. Estrae un portafoglio. Lo alleggerisce di un bel po’ di biglietti di banca).
GUSTAV: Fai rifornimento?
FRITZ: (mugugno incomprensibile) Uhmmmm…
GUSTAV: Devi andare lontano, stavolta.
FRITZ: Chi te l’ha detto?
GUSTAV: L’ho intuito. Hai prelevato un bel po’ di marchi.
FRITZ: Acuto, come sempre.
GUSTAV: Acuto, ma abbandonato.
FRITZ: Non ho mica detto che…
GUSTAV: Vai lontano, quindi mi abbandoni. Come dice l’adagio? Lontano dal culo, lontano dal cuore.
FRITZ: Guarda che hai davvero una faccia come il culo, tu!
GUSTAV: Non è vero! Il mio derrière è molto più serio.
FRITZ: Sei tu che mi vuoi mollare, proprio tu che hai sempre detto che non avresti mai potuto separarti da me…
GUSTAV: Dal tuo corpo, Fritz.
FRITZ: Be’, non è lo stesso?
GUSTAV: Forse sì. Hai solo quello.
FRITZ: Che però ti tira.
GUSTAV: È vero. Il tuo corpo è una sfida a trovarne uno più bello. Per questo mi fa venire voglia di cercarne altri.
FRITZ: E avevi anche il coraggio di parlare d’amore!
GUSTAV: Amore? Sì, certo. Uno solo, fedele: amor proprio.
(I due si insultano, mollemente, senza acrimonia).
FRITZ: Checca.
GUSTAV: Marchetta.
FRITZ: Latrina.
GUSTAV: È lì che t’ho raccattato.
FRITZ: Non ti prendo a pugni per non farti mugolare di piacere.
GUSTAV: Due volte sadico!
FRITZ: Mi dispiace, ma non con te.
GUSTAV: Vattene, che aspetti?
FRITZ: Me ne vado, me ne vado.
GUSTAV: È vero che di tanto in tanto mi diverto a farmi togliere anche la camicia da qualche boy-friend. Ma non sempre dallo stesso, mein Gott! A star soli ci si annoia, ma a far coppia fissa si hanno solo delle noie!
FRITZ: Stronzo!
GUSTAV: Un po’ striminzito, come argomento dialettico.
FRITZ: Affanculo.
GUSTAV: Via, facciamo la pace: separiamoci per sempre!
FRITZ: Crepa, Gusta.
GUSTAV: Ciao. Tornerai?
FRITZ: No!
GUSTAV: Era quello che volevo sentirti dire.
FRITZ: Sei felice che me ne vada?
GUSTAV: Perfettamente.
FRITZ: Non ci credo. Hai un’aria rassegnata.
GUSTAV: Appunto. Ormai, ci si rassegna solo ad essere felici.
(Fritz esce, ingrugnito.
Gustav si alza. Comincia a vestirsi.
Fritz rientra. Parla a qualcuno fuori quinta).
FRITZ: Andava bene?
Entra Reinhold Schinzler, il regista.
REINHOLD: Perfetta
FRITZ: Non ne facciamo un’altra?
REINHOLD: Che bisogno c’è di sprecare altra pellicola? Ho detto che era perfetta, no?
GUSTAV: Peccato. Si stava bene sotto le coperte, vero Jakob?
Fritz/Jakob ride. Esce con Gustav.
REINHOLD: Hans! (entra Hans, l’aiuto regista) Facciamo la scena del ristorante. Dov’è Frau Muller? Vai a chiamarla, tocca a lei.
Hans esce da una parte. Dall’altra, al lato opposto, entra Renate Muller, come una furia.
RENATE: Dov’è?
REINHOLD: Chi?
RENATE: Jakob! Dov’è andato?
REINHOLD: È uscito un attimo fa, Renate.
RENATE: È uscito, eh? Gli ho detto mille volte che me lo deve dire, prima di uscire! Deve avvertirmi! Deve dirmi esattamente dove lo posso trovare, in ogni momento della giornata!
Reinhold sa che non deve contraddirla, non deve fare altro che lasciarla sfogare. Infatti, è quanto fa. Mormora, a Hans.
REINHOLD: Prepara i tavolini del ristorante. Tre, anzi, no: quattro.
RENATE: Se ne va, lui! Finisce la sua scenetta e se ne va, come se io non ci fossi! Per chi m’ha preso, per sua zia? No, io sono Renate Muller, la signora del cinema tedesco! E lui è solo un violinista disoccupato! E se lavora – lavora? Si fa per dire, se dice quattro battute da gigolò in questo film – lo deve a me! Sono io che l’ho imposto a quei deficienti della produzione!
REINHOLD: (dolcissimo) Anche a me, cara.
RENATE: (non lo ha neppure sentito) Vorrei sapere dove se ne va, poi! Cos’ha da fare di tanto importante qui al Centro Cinematografico? Sicuramente ci sarà qualche attricetta che gli ronza intorno, mi faccio rapare a zero se non è così!
REINHOLD: Andiamo, Renate, cosa vai a pensare? Lo sanno tutti che Jakob è monogamo.
RENATE: Tu sei un uomo, non capisci niente degli uomini.
REINHOLD: Mia moglie mi dice che sono un uomo, e non capisco niente delle donne.
RENATE: Be’ vuol dire che non capisci niente né delle donne né degli uomini. Non ti preoccupa, ti rimane sempre il terzo sesso. Io invece li conosco bene, gli uomini! Se ne prendi uno vecchio, non vuole essere tradito. Se te lo prendi giovane, ti tradisce.
REINHOLD: (che comincia ad infastidirsi) Renate, siamo già in ritardo sul piano della lavorazione, e…
RENATE: Perché, io non faccio parte del piano di lavorazione? Non sono la protagonista, io? Bene, lo sai che cosa ti dico: che se non me lo portate qui, non giro! Neanche un fotogramma!
REINHOLD: Senti, Renate… (si controlla) Hans, vai a cercarlo, riportarlo qui vivo o morto!
RENATE: Vivo, meglio vivo!
Hans esce.
RENATE: Non mi ricordo niente.
REINHOLD: Bene, te la ricordo io. Dunque, tu hai trovato uno scarafaggio nella “Pensione Impero”, dove sei alloggiata. Invece di gridare, te lo metti in tasca, in una scatolina, poi esci. Vai a spasso per la Kurfurstendamm in cerca di un ristorante. Non dimenticarti che sei affamata e senza un soldo: è importante lo sguardo che dai alle vetrine dei negozi alimentari. Quindi ti fermi davanti alla mostra di un ristorante. Hai individuato il posto giusto. (si rivolge al cameraman fuori le quinte) Niente motore, facciamo una prova! (a Renate) Entri e vai a sederti lì… Un momento! E dove sono gli altri due clienti?
Entrano a razzo Gustav, che si piazza al tavolo vicino a quello di Renate, e una signorina bruna che si mette in fondo, di spalle, non visibile sia per Renate che per il pubblico.
Renate entra nel ruolo di Viktoria. Il suo personaggio è molto diverso da quello di Renate. Laddove Renate è – o sembra – aggressiva e sicura di sé – Viktoria è – o sembra – timida e dolcemente allegra.
Entra il cameriere: rigido, impettito, una specie di automa. Renate osserva il menu.
CAMERIERE: La signora/signorina desidera?

SCENA II – LO SCARAFAGGIO

VIKTORIA: Signorina.
CAMERIERE: (scrive) Signorina.
VIKTORIA: Perché scrive?
CAMERIERE: Ho poca memoria.
VIKTORIA: Vorrei una… anzi, no… due zuppe di cipolla.
CAMERIERE: (scrive) Due “soupes à l’oignon”… La signorina aspetta qualcuno? Devo aggiungere un coperto?
VIKTORIA: No, le due “soupes à l’oignon” sono per me.
CAMERIERE: Perfetto. E poi?
VIKTORIA: Zampetto di maiale con crauti. Molti crauti.
CAMERIERE: (scrive) Zampetto di maiale con crauti, molti crauti.
VIKTORIA: No. Zampetto è troppo piccolo.
CAMERIERE: Zampa?
VIKTORIA: Più grande.
CAMERIERE: Zampone, allora!
VIKTORIA: Troppo grande!
CAMERIERE: Che ne dice di una… zampettona?
VIKTORIA: No. Due zampetti di maiale.
CAMERIERE: (scrive) Due zampetti di maiale.
VIKTORIA: Con crauti.
INSIEME: Molti crauti
CAMERIERE: Altro?
VIKTORIA: Per il momento no.
CAMERIERE: (scrive) Per il momento no.
VIKTORIA: Può portarmi tutto insieme, bitte?
CAMERIERE: Come vuole. (scrive) Tutto insieme, bitte. (esce)
GUSTAV: (dal tavolo vicino, sorride a Viktoria) Ha un buon appetito, vero?
VIKTORIA: Non posso negarlo.
GUSTAV: Aspetta qualcuno?
VIKTORIA: No.
GUSTAV: Desidera stare sola? Guardi che se è così, la capisco. Non vorrei essere uno di quelli che, invece di dividere la solitudine di un’altra persona, gliela raddoppia.
VIKTORIA: (sorride) Volevo star sola, ma lei me ne ha fatto passare la voglia.
GUSTAV: (va al suo tavolo) Scommetto che lei è un’artista.
VIKTORIA: E io scommetto che anche lei lo è.
GUSTAV: Gustav Holle, prestigiatore e fantasista allo “Chez nous”, il Kabarett più alla moda di Berlino.
VIKTORIA: Lo “Chez nous”? Ma io…
GUSTAV: Carte in tavola. Ho visto il suo provino. Complimenti, lei è bravissima.
VIKTORIA: Sì, pero, non mi hanno presa.
GUSTAV: Non l’hanno capita. Ma io… voglio fare qualcosa per lei. Io conosco tutti e tutti mi conoscono. Per farle vedere che sono disinteressato nei suoi confronti, le dico qualcosa di me, prima che lo facciano gli altri. La mia ultima fiamma si chiama Fritz. Ci siamo appena lasciati, sicché sono solo. Enfin. Non lo sopportavo più, quel giovanotto. Sono felice. Finalmente vivrò solo. E già mi chiedo: solo con chi?
VIKTORIA: (ride) La fedeltà non fa per lei, eh?
Il cameriere porta il pranzo. Viktoria comincia a mangiare voracemente.
GUSTAV: La fedeltà è un’anomalia. È un incidente, o meglio, una interruzione dell’infedeltà. Essre fedeli è come andare al ristorante. Appena t’hanno servito guardi nel piatto del vicino.
VIKTORIA: E l’amore?
GUSTAV: L’amore? Prima lo prendi tra le braccia, poi sulle braccia, e alla fine ce l’hai sulle spalle. Giorni fa un mio amico viene da me e mi dice: “Sono preoccupato per mia moglie. Non fa che lamentarsi perché dice di sentirsi diventare vecchia. Questo pensiero la terrorizza. Che cosa posso fare per lei?” Gli dico: “Falle una bella scena di gelosia. Vedrai che le farà piacere”. Dopo qualche giorno lo incontro. Mi dice: “Sai, ho seguito il tuo consiglio. Le ho fatto una scenata in piena regola”. “Bravo – gli dico – e lei?” “Mi ha confessato che mi tradisce”.
VIKTORIA: (ride, sul piatto che ha appena spolverato) Bene, ora però è meglio che se ne torni al suo posto. Non voglio coinvolgerla nello scandalo.
GUSTAV: Quale scandalo?
VIKTORIA: Non ho un soldo. Ho da tempo finito i miei risparmi. Non posso neppure pagare l’affitto di quella lurida pensione dove sono alloggiata. E siccome non mangio da tre giorni, ho deciso di rimpinzarmi e poi di ricorrere al trucco dello scarafaggio. (estrae la scatolina) È qui. Era ospite in camera mia. Ora lo tuffo nei crauti e poi urlo… Indignata, mi alzo e me ne vado senza pagare. Torni al suo tavolo, Gustav.
GUSTAV: (si alza) Sì, però… mi dica qualcosa di lei, prima di schizzare via. Come si chiama, dove posso rintracciarla…
VIKTORIA: Viktoria Hempel. Vengo da Monaco di Baviera; a Berlino da una settimana. Pensione Impero. Schillerstrasse 53. Se tutto va male, nella camera di sicurezza più vicina. (Gustav torna a sedersi al suo tavolo. Viktoria estrae lo scarafaggio dalla scatolina, lo mette nei crauti. Urla) Scarafaggio!
Entra di corsa il cameriere. Raccoglie lo scarafaggio dal piatto.
VIKTORIA: Uno scarafaggio!
CAMERIERE: (impassibile) Vecchio trucco, signorina. Andava di moda durante la Repubblica di Weimar. Oggi, in pieno 1933, non ci casca più nessuno, a Berlino. È mio dovere darle alcune informazioni. Se lei non paga il conto, io chiamerò il direttore, il quale chiamerà l’agente di servizio, il quale chiamerà il cellulare. Lei potrà chiamare il suo avvocato. Dal carcere.
Interviene Gustav, che regola il conto.
GUSTAV: Ecco qui, tenga il resto. Non verrò più in questo ristorante. Troppi scarafaggi. (a Viktoria) Venga, Viktoria. Venga da me. Mi racconterà la sua storia. Vedrà. Io so anche ascoltare.
VIKTORIA: Volentieri. Parlerò tanto che, alla fine, troverò qualcosa da dire.
GUSTAV: Benissimo, per me sarà un piacevole diversivo. Questa decantata “diversità”, spesso, è così monotona.

SCENA III - VIKTORIA = VIKTOR

Casa Gustav Holle. Entrano Gustav e Viktoria

VIKTORIA: Il mio maggior difetto è l’ottimismo. Sai cosa mi dico, quando aspetto qualcuno che non si fa vivo? “È in ritardo, vuol dire che verrà”.
GUSTAV: Ti piace cantare?
VIKTORIA: Sì, però sono anche attrice. Ma dal momento che in teatro non ci sono parti femminili!
GUSTAV: Eh addirittura, che esagerazione!
VIKTORIA: Esagerazione? Ma lo sai che fin dai tempi degli antichi greci gli uomini hanno cacciato le donne dal palcoscenico? Teatro? Niente attrici, solo uomini!
GUSTAV: Ma allora tutte quelle parti femminili… chi le faceva, scusa?
VIKTORIA: I giovanetti.
GUSTAV: Ah, è vero… i giovanetti.
VIKTORIA: E sai cosa vuol dire questo? Che i ruoli per le donne erano pensati per dei maschietti! Ti rendi conto?
GUSTAV: Certo. Tutte quelle Medee, Fedre, Antigoni… Giocaste…
VIKTORIA: Erano recitate da giovanetti di primo pelo. E scritte per loro.
GUSTAV: Beh, però è bello. Poetico. Eschilo, Euripide… quei cervelloni barbuti scrivevano per i loro attorelli preferiti… E… Shakespeare?
VIKTORIA: Dava le parti di donna ai suoi amichetti.
GUSTAV: Lo so che Shakespeare era dei nostri. Ma che vuol dire? Tutti i geni sono omosessuali, guarda me… Allora, seguendo il tuo ragionamento, Desdemona è stata scritta per un ragazzino.
VIKTORIA: Certo. E anche Ofelia, Lady Macbeth. La Lady Anna del Riccardo III. Le parti femminili sono rare, tanto rare che le più esperte, le più navigate, le più maneggione e anche, perché no?, le più brave delle nostre attrici, se le accaparrano e se le tengono strette. Insomma, se fossi uomo, li farei io, tutti quei bei ruoli maschili… Aspetta un momento. Tu… sei Lady Anna. Mettiti lì, in un angolo. Sdegnosa. Tu… odi Riccardo III… (si contraffa. Zoppica. Ha la gobba e un braccio anchilosato. Cinge al fianco uno spadino). “Ora l’inverno del nostro scontento è cambiato in splendida estate grazie a questo sole di York.
Ora le nostre fronti sono coronate da ghirlande di vittoria.
Ora la guerra non cavalca più destrieri d’acciaio ma danza leggera nel salotto d’una dama, all’invito lascivo d’un liuto…
Ma io… che non sono tagliato per questi ameni spassi e neanche per pavoneggiarmi davanti ad un amoroso specchio (copre lo specchio con una mano, senza specchiarsi)
Io che sono di ruvido stampo e di troppa scarsa avvenenza
Per fare la ruota intorno ad una ninfetta sculettante
Io che ho misure eccentriche rispetto a quelle naturali
Io che sono stato truffato dalla natura
Io deforme, io incompiuto, io appena abbozzato,
io sgangherato e sbilenco al punto tale
che i cani – quando passo zoppicando accanto a loro – m’abbaiano contro…
io voglio sposare la bella Lady Anna…
È vero che le ho scannato il padre, i cugini ed il marito ma cosa importa? Sposandola diventerò suo padre e suo cugino e suo marito al tempo stesso, così sarò perdonato…” (ghigna orribilmente. Suggerisce a Gustav)
Dì: “Cosa vuoi, spaventoso ministro dell’Inferno?
Sozzo demonio, cosa vuoi?” E sputami in faccia… dai, sputa! Sì, insomma, fingi… (Gustav sputa)
GUSTAV/LADY ANNA: “Cosa vuoi spaventoso ministro dell’Inferno?
Sozzo demonio, cosa vuoi?”
VIKTORIA: Be’, non ci crederai. Dopo solo dieci pagine, Lady Anna si fidanza con Riccardo. Solo un maschietto – quello che faceva Lady Anna – poteva comportarsi così. Una donna vera sarebbe stata molto più coerente. Infatti Riccardo, uscita Anna, conclude:
“Oh Anna, Anna! C’è mai stata al mondo una donna
sedotta in circostanze come questa?
Come ci si può fidare di una così?
Io le ho ammazzato i cugini, il padre ed il marito e lei
si fa convincere? Lei abbassa i suoi occhi su di me…
su di me, che tutt’intero non valgo la metà
della buonanima di suo marito… su di me, nero scarafaggio…?” (con gesto plateale scopre lo specchio e si specchia. Si ritrae, spaventato) Mamma che brutto!
GUSTAV: (svenevole) Ma no, Riccardino… è tutta colpa di quel brutto specchio…
VIKTORIA: Hai ragione. Specchia senza riflettere, lui…! (con un perfetto affondo infila lo spadino nello specchio che, essendo di plastica, si lascia facilmente trafiggere. Gustav batte le mani. Viktoria si ricompone). Invece sono donna e che mi resta? Briciole. Qualche servetta, qualche nobildonna insoddisfatta, qualche mogliettina tutta casa e chiesa. No, grazie. Per non fare queste ignobili parti, ho lasciato la prosa per la musica, dopo anni di delusioni. E ho cominciato a cantare.
GUSTAV: E com’è andata?
VIKTORIA: Male. Il tuo repertorio non va, mi dicono. Ricorda troppo quello di Marlene Dietrich. Ma la Dietrich ha rinnegato il suo paese e se n’è andata a Londra. Non è patriottico evocarla. E allora, resto senza lavoro. Vengo qui. Faccio provini su provini. Niente. Brava, mi dicono, ma devi cambiare repertorio. Ma… come faccio? Ho questa voce bassa, un po’ roca… E poi, mi piace interpretarla, una canzone, più che cantarla… La mia voce non spezza il cristallo d’un bicchiere. Spezza il cuore!
GUSTAV: (batte le mani) Brava! Bel monologo. (sorride) No, davvero. Trovo che hai molto talento.
VIKTORIA: Lo so, me lo dicono tutti, per cui sono costretta a dire che ho del genio.
GUSTAV: Evviva la modestia!
VIKTORIA: Non ci credo, alla modestia. Ci sono dei falliti che fanno i modesti per far credere che non sono dei falliti… Solo che presto, malgrado tutto il mio sano ottimismo bavarese, sarò una fallita anch’io, se non mi succede qualcosa! Ma cosa mi può succedere? Mi hanno sfrattata da quella specie di locanda a ore che si chiama pomposamente “Pensione Impero”… Un Impero senza bagno, è una settimana che non entro in una vasca… Che devo fare? Andare all’estero anch’io, come hanno fatto Fritz Lang, Peter Lorre, Elisabeth Bergner, Brigitte Helm e la Dietrich…? Ma io non sono famosa come loro, nessuno mi conosce. (al regista, come Renate)
RENATE: Questa battuta non passa, Reinhold…
REINHOLD: Non importa, la taglieremo, vai avanti!
VIKTORIA: (riprende, tagliando) Che devo fare? Andare all’estero?... Ma mi piace tanto la mia lingua, che mi sembrerebbe di tradirla, se ne imparassi un’altra… E allora? Sono a terra! (è sul punto di piangere) Non so da che parte cominciare…
GUSTAV: Da un bel bagno. Vai di là. C’è una vasca tutta per te. E questo vestitino è un po’ leggero, per l’autunno berlinese… (prende degli abiti, glieli da) Mettiti qui. Un buon bagno e dei panni caldi. Per il momento è tutto. Poi si vedrà. (la spinge via) Vai, ti dico. (rimasto solo, si mette a ripassare dei giochi di prestigio. Parla forte, verso Viktoria fuori scena) Stasera verrai ad ammirarmi allo “Chez nous”. Certo, ci vorrebbe un abitino da sera. Non hai niente, con te?
VIKTORIA: (fuori scena) Niente! Nuda come un baco da seta senza seta!
GUSTAV: Be’, si vedrà. Verrai al mio fianco, farai sensazione! Penseranno che mi sia convertito! No, non esageriamo. Magari nasceranno dei dubbi. La verità è che nessuno mi ha mai visto con una donna. Anche Karl farà una faccia…
VIKTORIA: (fuori scena) Chi?
GUSTAV: Karl è il proprietario dello “Chez nous”.
VIKTORIA: Quel frocio che non m’ha voluta?
GUSTAV: Sì. Sto con lui da dieci anni…
VIKTORIA: (fuori scena) Oh, scusami…
GUSTAV: Abbiamo un rapporto molto libero. Una cosa civilissima. È come se fossimo sposati, però siamo una coppia aperta. Lui lo sa, che sto anche con Fritz. Mi piacerebbe, se pensasse che tradisco lui e Fritz con te. (ride, divertito) Quando uno è sposato ed ha un’amante, se tradisce il suo amante con una terza perona, è un po’ come se tornasse ad essere fedele al primo. Nel mio caso, a Karl… Sai cos risposi a Karl quando mi chiese l’età?
VIKTORIA: (fuori scena) Non riesco ad immaginarlo.
GUSTAV: Lo avevo appena conosciuto. Dopo un po’, lui mi fa: “Quanti anni hai, giovanotta?” E io: “Dipende dalle sue intenzioni, Herr Karl!” Il nostro amore è nato così: su una battuta felice.
VIKTORIA: (fuori scena) Hai mai provato, con una donna?
GUSTAV: No, questo no. Ho la mia morale. Ma non pensare che sia soddisfatto, sai? I ragazzi sono volubili, capricciosi, traditori. E bugiardi. Tanto che, quando mento ad uno di loro, ho l’impressione di essere rimborsato… E poi, sono stupidi. Ci danno i loro corpi, convinti che dovrebbe bastarci. E infatti è così, ci basta, ci basta, non vogliamo altro. Un giorno ho chiesto ad un ragazzo: “Perché vieni con me?” E lui: “Così, per far passare un po’ di tempo”. E io: “Stupido! Il tempo passa, altro che se passa, e anche troppo in fretta! Invece di ‘farlo passare’, bisogna trattenerlo, bisogna impedirgli di passare!”
VIKTORIA: (fuori scena) E Fritz?
GUSTAV: Oh, uno stupido anche lui. Ogni tanto gli prestavo qualche battuta di spirito. Così, giusto per avere una ragione di più per stare con lui. Tutto sommato, mi era indifferente. Mi piace frequentare le persone che mi sono indifferenti. Anzi, più mi sono indifferenti e pi mi attacco a loro. (entra Viktoria. Ha i capelli pettinati all’insù e tirati all’indietro. E indossa un vestito di lana a doppio petto di Gustav. Gustav è folgorato dalla visione. E da un’idea) Viktoria!
VIKTORIA: Che c’è? Che ti prende? Sembri Orazio quando vede il fantasma del padre di Amleto.
GUSTAV: È un po’ così… Vedo un fantasma di uomo, dove prima c’era una donna!
VIKTORIA: Vuoi spiegarmi, per favore?
GUSTAV: Per ora è solo un fantasma, però, con qualche ritocco… Un momento. Ecco, mettiti le mie scarpe…
VIKTORIA: (esegue) Sì, però, vuoi dirmi che cosa hai in mente?
GUSTAV: Un’idea assolutamente geniale… vedrai! Ora mettiti questa cravatta…
VIKTORIA: Che fai? Mi travesti per il ballo della festa degli scapoli?
GUSTAV: Ora il cappello… (le da un cappello che lei calza in testa) Perfetto! No, aspetta… il tocco finale! (estrae una matita marrone per gli occhi, disegna dei baffetti marroni sopra le labbra di Viktoria) Straordinario! Adesso guardati allo specchio!
VIKTORIA: Mein Gott! Sono io, Viktoria, questo baldo giovanotto?
GUSTAV: Sì, anzi no. Sei “Viktor, l’imitatore delle donne”!
VIKTORIA: Sarebbe…? Traduci.
GUSTAV: Non ti vogliono come cantante donna? E allora sarai un cantante uomo! Anzi, di più! Sarai un cantante uomo che imita una cantante donna! Ora, chi meglio di un uomo che poi è donna può imitare una donna? Nessuno!
VIKTORIA: Già. Non devo neanche imitarla… Basta farla, basta essere me stessa! È un’idea stupenda! Pazzesca. Cretina. Impossibile da realizzare.
GUSTAV: E perché?
VIKTORIA: Non hai pensato al dopo. Che farò, dopo lo spettacolo? Nella vita, intendo.
GUSTAV: Farai l’uomo. Semplice.
VIKTORIA: Sì, magari mi faccio anche un’operazione. Non hai capito niente. Io sono donna. E voglio restare donna. Voglio viverla tutta, la mia vita di donna.
GUSTAV: La vita, la vita! Ma cos’è mai la vita, rispetto all’arte? Niente, Viktoria! È lì, sul palcoscenico, la vera vita! È lì che puoi avere quel successo che oggi ti manca nella vita! Mentre nell’altra vita, in quella vera che poi sarebbe falsa – Pirandello – passerai avvolta come in un velo di mistero! Come i veri artisti! Dal momento che sono pubblici, niente deve trapelare della loro vita privata…
VIKTORIA: Uhm… ma lo sai che sei convincente?
GUSTAV: È la forza dell’idea, io non c’entro. Le grandi idee si fanno strada da sole, e questa è l’idea del secolo! (pausa. Gustav crea) Sarai… indosserai il frac… Sarai… “Viktor”, il famoso travesti… ungherese… sì, ungherese… chi lo parla, l’ungherese? Nessuno.
VIKTORIA: Gli ungheresi.
GUSTAV: Sì, ma in Ungheria. Dunque, sarai “Viktor”, il famoso travestito ungherese che canta come una donna!
VIKTORIA: Canterò il mio repertorio?
GUSTAV: Certo. Il tuo repertorio alla Dietrich. Anzi, lo accentuerai. Farai la parodia della Dietrich, così avrai pure delle benemerenze patriottiche. E poi, quelle canzoni – perché no? Anche quelle famose di Marlene, a cominciare da Lola Lola – cantate da una donna che sembra un uomo che fa la donna ma che in verità è donna, avranno ben altro effetto! Come faceva, quella canzone che hai cantato allo “Chez nous” per il privino? Cantala!
VIKTORIA: Come, ora?
GUSTAV: E quando, domani? Ora, ora, non c’è un minuto da perdere!
VIKTORIA: (canta) “Johnny”…
GUSTAV: Aspetta… (canta, anche lui senza musica) “Johnny”… hai visto come tengo il busto? È un po’ più rigido qui… Come quello degli uomini veri… Noi siamo più tesi qui, nei muscoli del petto… noi, insomma loro, gli uomini, hanno il busto un po’ ingessato, sfido, non hanno i vostri bei cuscinetti carnosi… E la voce… è vero che sei donna, e imiti una donna, ma è anche vero che bisogna accentuare l’ambiguità, non ti pare? Perciò tieni la voce più bassa… prova un’ottava sotto… così: “Johnny”…
VIKTORIA: (imitandolo) “Johnny”…
GUSTAV: Perfetto! Continua! Muoviti un po’, però…
(Viktoria canta senza musica)
VIKTORIA: “Johnny
Oggi è il tuo compleanno
E io resto da te
Tutta la notte”…
GUSTAV: Sì, sei straordinaria, però non ci siamo ancora… Tieni la pancia troppo avanti…
VIKTORIA: Non ce l’ho, la pancia, per tua regola!
GUSTAV: Hai ragione, non volevo dire pancia, volevo dire bacino… lo butti troppo in avanti… se lo esponi, togli la sorpresa alla canzone… fai vedere dov’è quel certo non so che della canzone… e poi, vedi, un uomo non porta mai avanti le sue parti basse… anzi, tiene a tirarle indietro, come in posizione di difesa… forse per via della fragilità di certi nostri… ammennicoli… Uffa, proprio io devo darti una lezione di mascolinità…? Voi donne, invece, lo sbandierate troppo, il vostro bacino… si capisce, è forte, lui… sopporta perfino la mostruosità d’un’altra vita… Dai, Viktoria, anzi, Viktor… prova!
VIKTORIA: (canta, muvendosi, la canzone tutta intera)
Johnny
oggi è il tuo compleanno
e io resto da te
tutta la notte

oh
Johnny
perché non compi gli anni
ogni giorno?
Gustav applaude, felice. La sua trovata funziona.

SCENA IV – “CHEZ NOUS”

Berlino. Il Kabarett “Chez nous”. Sulla pedana sono accese le luci della ribalta.
Il fondo è invaso da un enorme drappo rosso al cui centro campeggia la croce uncinata nazista.
Sono in scena i tre attori/ballerini/cantanti. Hanno sul capo bombette da gaudenti e gilets lucidi, però indossano l’uniforme bruna delle SA ed hanno intorno al braccio la fascia con la croce uncinata. Voltandosi, mostreranno sul raso posteriore dei gilets le croci uncinate.
Cantano “Rataplan”, una canzone dell’epoca, dapprima con tono basso e poetico, poi sempre più minaccioso e militaresco come un coro bellico.
Escono i cantanti ballerini.
Rullo di tamburi.
Entra Viktor/Viktoria. È in frac e porta una parrucca bionda sopra i capelli calottati da maschio. Va in proscenio, mentre il fondo si anima. Sparisce il drappo rosso con la croce uncinata. Al suo posto, un fondale blu. Il mare è una nuvola di tulle azzurro agitato da un ventilatore. Calano reti da pescatori, ancore, nuvole sbarazzine corredate da angioloni bizzarri, e perfino un veliero sullo sfondo: Viktoria canta “Lola Lola”, parodia arrangiata della canzone cantata da Marlene Dietrich nell’”Angelo Azzurro”. Verso la metà della canzone rientrano i tre cantanti/ballerini come grandi angioloni azzurri con le ali. Coreografano la canzone alle spalle di Viktoria.
VIKTORIA:
Ich bin die fesche Lola
Der Liebling der Saison
ich hab’ ein Pianola
zu Haus, in mein Salon (1).
VOCE FUORI CAMPO DEL CAMERIERE:
Sette wurstel con crauti!
VIKTORIA:
Ich bin die fesche Lola
mich liebt ein jeder mann
doch an mein Pianola
da lass keinen ran! (2)
VOCE FUORI CAMPO DEL CAMERIERE:
Ancora tre birre Pielsen!
VIKTORIA:
Doch will mich wer begleiten
hier unten aus dem Saal
den hau’ich in die Seten
und tret’ihm auf’s Pedal! (3)

Ich bin die fesche Lola
der Liebling der Saison
ich hab’ ein Pianola
zu Haus, in mein Salon.
Applausi per Viktoria che si inchina al pubblico e poi, di colpo si toglie la parrucca bionda e si rivela come Viktor.
Un cambio di luci segnala il passaggio di tempo.
Ora Viktoria è seduta davanti allo specchio del suo camerino.
Si trucca, guardandosi allo specchio. È felice, allegra.

N B. NOTE DA AGGIUNGERE A FONDO PAGINA
1) Sono la frizzante Lola / la più amata della stagion(e) / ho una splendida pianola / a casa, nel mio salon(e).

2) Sono la rizzante Lola / che ogni uomo vuole amar(e) / e però alla mia pianola / nessuno faccio avvicinar(e)!

3)Se qualcuno mi vuol riaccompagnare / laggiù in basso nella Sala / lo colpisco al basso ventre / e gli marcio sul pedale.

 

VIKTORIA: È stato tutto molto facile. Da non credersi. Lo vedi, Viktoria? Ti vedi? Sei Viktor, ormai. Viktor! Un uomo! (si alza) Una cammina un po’ più dritta, senza molleggiare… e subito diventa uno. Che sciocchi. Hanno bevuto tutto. Mi credono davvero un travestito ungherese. Travestito, io! E ungherese, poi! Non so neanche una parola, d’ungherese. No. Una sì. “Puzsta! (ride) Posso sempre dire che vengo dalla “puzsta” sterminata e solitaria. (improvvisa una sorta di danza folkloristica ungherese. Canta)
Vengo dritto dalla “puzsta”
cavalcando a suon frusta
ho mangiato una locusta
che schifezza, mi disgusta!
In città porto una busta
a una giovane venusta
Ho trovato la via giusta
il mio cuore al suo s’aggiusta
galoppando senza…
(Non trova la rima)
… “susta”
me la porta nella “puzsta”!
(ride) Mi voglio proprio divertire. Dev’essere uno spasso, fare l’uomo. Be’, qualche problemino ce l’avrò. Nei bagni pubblici, per esempio. Mi fanno schifo, quei monumenti di ceramica bianca strisciati da rigagnoli gialli… Niente, abbasso la promiscuità! La mia sarà la pipì più misteriosa del paese… Sì, mistero, mistero! Quanti sfizi mi voglio togliere, ora che sono un uomo… Gustav mi ha detto che presto andremo all’estero… ci vogliono perfino a Londra! Benissimo, voglio entrare in uno di quei club esclusivi per soli uomini… Poltrone di cuoio, odore di tabacco inglese, il panno verde d’un biliardo, un silenzio foderato di tweed… E io lì a dissacrare il santuario maschile con la mia presenza ambigua… (canticchia)
Come to the club tonight
we’ll ginger till the broad daylight
in this safe retreat
all the rounders meet
so come to the club tonight…
(parlato) E poi il teatro! Tornerò al teatro! Farò davvero Riccardo III! (lo mima accennandolo per un attimo) “Nell’inverno del nostro scontento…” (torna normale, poi, naso al vento) O Cyrano… “E al fin della licenza, io tocco!” (torna normale) Senza contare il sesso, anzi i sessi. Sono bisex, quindi posso piacere agli uomini e alle donne. Sono completo. La donna è la costola di Adamo? Io sarò Adamo e la sua costola nello stesso tempo! Tutto in uno! (si mette la parrucca) Viktoria! (se la toglie) Viktor! (ci gioca più volte, poi ha un’altra idea) Un clown! Mi piacerebbe fare un clown! (si lancia in una imitazione di Karl Valentin e di Liesl Karlstadt “citando” uno dei loro demenziali dialoghi. Per fare Valentin si mette un naso lunghissimo, per fare Liesl si abbassa della metà e infila un naso rosso a pallina)
VIKTORIA/VALENTIN: Pensa un po’ al caso che ci è capitato ieri. Passeggiavo con Tonico per la Kaufingerstrasse. Stavamo giusto parlando di un ciclista quando… indovina chi passa?
VIKTORIA/LIESL: Un ciclista.
VIKTORIA/V.: E tu come lo sai? C’eri anche tu sulla Kaufinferstrasse?
VIKTORIA/L.: No, l’ho intuito. E poi? Che n’è stato del ciclista?
VIKTORIA/V.: Niente. È passato via. Pedalando.
VIKTORIA/L.: E allora? Che c’è di strano? Nella Kaufingerstrasse ne passano migliaia al giorno, di ciclisti!
VIKTORIA/V.: Sì, ma ne è passato uno solo! Noi si parlava d’un ciclista e tac! Passa un ciclista. Uno, non mille!
VIKTORIA/L.: Ma che c’entra? Il ciclista sarebbe passato anche se non ne aveste parlato!
VIKTORIA/V.: Ah, questo non lo so.
VIKTORIA/l.: Sei uno stupido, Karl! Se due parlano d’un aereo e tac! Passa un aereo, quello sì che è un bel caso! Ma non un ciclista!
VIKTORIA/V. : Bene, domani andiamo di nuovo a spasso sulla Kaufingerstrasse e parliamo d’un aereo. Ma se passa un ciclista, guai a te!

SCENA V – “HALBJUNDE”

Con un gesto deciso interviene il regista che fa cessare gli applausi – veri o registrati che siano.

REINHOLD: Stop! Basta così. Pausa di dieci minuti. (esce)
Viktoria torna nei panni di Renate. Si strucca davanti ad uno specchio da camerino di teatro. Entra in punti di piedi Jakob.
RENATE: Dove t’eri cacciato?
JAKOB: Niente, ero qui vicino.
RENATE: Sai bene che sono in apprensione, se non so dove sei.
JAKOB: In apprensione. Bell’eufemismo. Diciamo che hai fatto la solita scenata.
RENATE: Io? Ti giuro che…
JAKOB: Andiamo, ti si sentiva in tutti gli Studios di Babelsberg!
RENATE: Vuoi rimproverarmi perché ti sono troppo affezionata?
JAKOB: Mi fa piacere quando mi abbracci, ma perdio non stringere troppo, se no mi soffochi!
RENATE: (irosa) Non ho le manine delicate come le tue, io, non suono il violino come te!
JAKOB: (idem) Sì, ma tra il violino e la grancassa, ci sono un’infinità di strumenti!
RENATE: Scusami, ti suonerò la mia pianola! (si accorgono del doppio senso involontario e scoppiano a ridere tutti e due. Un silenzio).
RENATE: (dolcissima) Allora, dov’eri?
JAKOB: Ero nello studio cinque, da Emil Jannings. Ne ha di spirito, il grande vecchio! Gli stavo facendo dei complimenti. L’avevo visto recitare in teatro e gli dicevo che trovavo sublime il suo modo di dire le battute, ma addirittura strepitoso il suo modo di “tenere” le pause tra una battuta e l’altra. E lui: “Per forza. Le pause sono mie”. (sorridono) M’ha detto l’ultima su “quelli”. (abbassa la voce) Sai cosa pretendono che si dica, quando c’è il sole? “Tempo hitleriano”. Proprio così. Ti incontro e ti dico, con disinvoltura: “C’è un bel tempo hitleriano oggi, non ti pare?”
RENATE: (ha finito di struccarsi. Si alza) Questa l’ho sentita in un kabarett, a Monaco. Karl Valentin, sai, il comico bavarese, arriva in scena. (mima) Tende il braccio, così… (saluto nazista)… e urla: “Heil…”, poi si ferma e pensa. Quindi, desolato: “Oddio non mi ricordo più come si chiama!” (Renate e Jakob ridono) Possiamo ancora ridere, per fortuna.
JAKOB: Sì, ancora. Ma per quanto tempo? Per noi ebrei non c’è già più niente da ridere.
RENATE: Cos’altro è successo?
JAKOB: Niente. Segnali. Ieri il fornaio, il mio fornaio, si è rifiutato di darmi un chilo di pane. Ha detto che era privo di scorte , ma era una scusa. Le ho viste benissimo, le ceste piene!
RENATE: Che porco!
JAKOB: La situazione sta precipitando. Al Conservatorio mi hanno chiuso la porta in faccia e stanno facendo lo stesso con gli altri ebrei. Il mio violino è diventato una specie di soprammobile. Sì, mi esercito, ma… io ho bisogno di suonare con gli altri, di far parte d’un’orchestra.
RENATE: Non te la prendere. In attesa di tempi migliori, lo suonerai per me, il violino.
JAKOB: Tempi migliori? Sono appena cominciate le persecuzioni. Fra poco ci sarà la caccia all’ebreo.
RENATE: Per questo ho paura quando non ti vedo. Ma sotto la mia ala non ti può accadere nulla. Sono una buona chioccia, all’occorrenza.
JAKOB: Sì, ma la parte del pulcino non mi sta bene!... Scusami. Io… invidio la tua forza. Tu dai l’impressione che tutto ti sia possibile. Dev’essere una sensazione inebriante. Io, invece, sono sempre così incerto. È come se mi mancassero le basi d’appoggio…
RENATE: Sei solo un po’ depresso, Jakob, tutto qui. Sono sicura che ci sarà un modo per affrontare il problema degli ebrei, magari con l’intervento di altri paesi. Guai, se si lascia fare, a quelli là! L’ho sentito io, Goebbels, con le mie orecchie: “Gli ebrei – diceva – non mi piacciono. Però esistono. Il pericolo che rappresentano finirà solo quando avranno di nuovo un loro paese. Questo paese, stiamo progettando di crearlo nel Madagascar”.
JAKOB: Ci vada lui nel Madagascar, lo storpio maledetto! Cosa siamo, noi, africani?
RENATE: Saresti carino, tutto abbronzato e col labbro pendulo…
JAKOB: Non hanno nessun rispetto per gli esseri umani!
RENATE: Parla più piano, Jakob!
JAKOB: Sì, ma tu dimmi: perché? Perché ce l’hanno tanto con noi? Perché ci odia tanto, Hitler?
RENATE: Non lo so. Ho l’impressione che odi tutti, lui.
JAKOB: L’hai mai visto da vicino?
RENATE: Una volta. M’ha fatto paura. M’ha guardata con quei suoi grandi occhi turchesi che mi passavano da parte a parte. Avevo l’impressione che guardasse qualcosa dietro la mia testa. Sentivo il suo respiro, aveva una tenuta lunghissima. Parlava, pronunciava frasi interminabili con tono sempre più alto, senza respirare neanche una volta. Io ero ammirata da quella tecnica: avrebbe dato dei punti a cantanti e ad attori.
JAKOB: Parli di lui come se fosse, non so, un fakiro.
RENATE: È un mago. Un giorno, nel parco della Cancelleria incontro uno che conosco, un ufficiale. Mi dice, in confidenza, che è una fortuna che ci sia bel tempo: il Fuhrer riceverà le delegazioni femminili all’aperto. Se l’avesse fatto al chiuso, ne avrebbe viste delle belle, Frau Muller. Lei è un’attrice famosa, non si emoziona. Ma sa cosa succede quando Hitler entra a salutare tutte quelle donne? I muscoli costrittori si rilassano per l’emozione e i tappeti sono inondati. Pisciano tutti, un lezzo insopportabile! (ride con disprezzo). Io non me la faccio sotto, stai tranquillo! (lo guarda. Jakob è scuro in volto). Che hai, sei tutto ingrugnito!
JAKOB: Ho una tale rabbia! (urla) gli sputerei in faccia, a quello sciacallo in camicia bruna!
RENATE: T’ho detto di non urlare! Ci sono spie dappertutto!
JAKOB: Scusa, hai ragione.
RENATE: Anche Reinhold, il regista. Non mi convince. A parole è un po’ progressista e un po’ “non mi pronuncio”, ma nei fatti com’è che lavora tanto? Fa un film dopo l’altro…
JAKOB: (con un sorrisino) Si può dire la stessa cosa di te, Renate.
RENATE: Già. Che sia anch’io una protetta del regime?
JAKOB: Tu lavori anche se non la pensi come loro solo perché non possono fare a meno di te e della tua popolarità Sono queste le piccole furbizie del regime. Da una parte tuona in favore della cosiddetta razza ariana, dall’altra non ha il coraggio di disfarsi degli ebrei o dei progressisti troppo famosi. Ma presto anche queste piccole astuzie, almeno nei confronti degli ebrei, cesseranno di esistere. Non ci sarà più posto per noi, né nel cinema, né altrove. Ci sarà una stretta di freni. E ne risentirai anche tu, Renate.
RENATE: Io? E perché?
JAKOB: Tu sei troppo nota perché loro possano tollerare la tua relazione con un oscuro violinista giudeo.
RENATE: No, non ci toccheranno.
JAKOB: Ti illudi. So già di molti casi di donne non ebree che sono state costrette a separarsi dai loro uomini solo perché erano ebrei…
RENATE: (minimizza) Se è una maniera elegante ed anche ideologica per darmi il benservito, sappi che non ci sto.
JAKOB: Sai bene che non è questo.
RENATE: E poi c’è un’altra cosa. Io… conto sempre sulla loro stupidità. Non so perché, ma mi sembra che la stupidità escluda la ferocia. La sai la storia di Domandowsky, il Capo dell’Ufficio Cinema? (Jakob fa un cenno di diniego). Allora: Goebbels vede un film che gli fa schifo, “Romanzo di un medico”. Furioso, telefona a Domandowsky e gli dice che d’ora in poi non si faranno più “film medici”. Domandowsky, che è un po’ sordo, capisce etici, invece di medici. Per cui dirama a tutte le Case Cinematografiche un comunicato in cui si dice: “Il Ministro della Cultura e Propaganda, Josef Goebbels, fa divieto a tutti i produttori di realizzare film di contenuto etico e morale”. E così le scrivanie di Domandowsky e dello stesso Goebbels si riempiono di sceneggiature volgari, scollacciate, immorali e altamente diseducative…
(Ridono, abbracciandosi).
JAKOB: Viva la stupidità, allora.
Entra Reinhold. È di pessimo umore.
REINHOLD: Mi dispiace, colombi. La pausa è finita.
JAKOB: (sciogliendosi) A più tardi, Renate. (esce)
RENATE: (si accorge dell’umore di Reinhold) Che c’è, Reinhold? Mi sembri nero.
REINHOLD: Nero? No, solo preoccupato.
RENATE: Per il film?
REINHOLD: E per cos’altro, se no? So fare solo film, ammesso che li sappia fare.
RENATE: Non buttarti giù, li fai benissimo, e lo sai. Mi pare che “Viktor und Viktoria” fili sull’olio. Le musiche e le coreografie sono d’effetto e…
REINHOLD: Non parlo dal punto di vista artistico, sempre che il cinema sia un’arte.
RENATE: E allora?
REINHOLD: Meglio che ti dica tutto, tanto io non so tenere nulla. Ho avuto una telefonata dalla UFA. La produzione minaccia, sia pure velatamente, di ritirare il finanziamento.
RENATE: E perché?
REINHOLD: Non lo so. Ordine di Goebbels.
RENATE: Ah, è lui. Il diavolo zoppo. L’avevo immaginato.
REINHOLD: Cosa avevi immaginato?
RENATE: Che passasse alle rappresaglie.
REINHOLD: Cioè?
RENATE: Deve aver scoperto la mia storia con Jakob.
REINHOLD: Ora ci sono. E siccome Goebbels voleva convincerti ad incontrarti in privato con il Fuhrer, e tu ti sei rifiutata…
RENATE: Lo sapevi?
REINHOLD: Già.
RENATE: Come hai fatto a saperlo?
REINHOLD: Ne avrai parlato con qualcuno. Sai, i segreti delle donne. Non è che le donne non sappiano mantenere un segreto. È che ci si mettono in molte, a mantenerlo.
RENATE: Non fare lo scemo. Dimmi seriamente cosa pensi di fare.
REINHOLD: Bene: in piazza, allora! Intendo difendere il mio lavoro, Renate.
RENATE: Cosa vuoi dire? Che devo accettare gli inviti alla Cancelleria del Reich, come vuole quel mostro di Goebbels? E tu che fai? Da paraninfo, per difendere il tuo film?
REINHOLD: Calmati, Renate!
RENATE: E invece no, anzi, mi monto! Ti manca solo di fare il ruffiano del nazismo, adesso! Avanti, perché non mi convinci che è molto patriottico andare a letto con il Gran Capo? Dev’essere un onore ricevere il suo purissimo sperma ariano, non è vero?
REINHOLD: Smettila, Renate, non ti sopporto quando fai l’isterica! Non ho nessuna simpatia per loro, e tu lo sai! Avrai pure imparato a conoscermi, no? È il quarto film che facciamo insieme, e un po’ lo devi a me, se sei diventata quello che sei diventata!
RENATE: D’accordo, ma questo non ha niente a che vedere con il nostro problema!
REINHOLD: Giusto, il punto è un altro. Dove vivi tu? Non ti guardi intorno? Non hai capito l’aria che tira? È dal tempo di Weimar che viviamo nell’angoscia, con la paura dei tentacoli! Ed ecco qui, ora ci siamo. I tentacoli ci sono addosso, ci stritolano! E tu… sei una delle attrici più brillanti e più in vista del cinema tedesco ed hai una “love story” con uno strimpellatore ebreo! Cosa credi che facciano, loro? Credi che si freghino le mani per la gioia? No, ti danno addosso, cara Renate! E il mio lavoro, che poi è anche il tuo, sarà compromesso per il tuo capriccetto sentimentale!
RENATE: No, Reinhold, non hai capito niente! Il mio non è un capriccetto sentimentale! Si può definirlo diversamente, caro il mio psicologo da strapazzo! E poi, non è solo quello che è in ballo! C’è di mezzo il mio diritto a vivere la mia vita! E tu… vuoi che comprometta la mia vita per il tuo filmetto commerciale? La verità è che voi registi siete tutti uguali! Passereste sui cadaveri dei vostri genitori anche se foste orfani!
(Pausa. L’uscita paradossale di Renate coglie di sorpresa Reinhold, che scoppia a ridere).
REINHOLD: Scusami, Renate. Hai ragione tu. In fondo è solo una minaccia. Passerà. Ci faranno finire il film. E poi, forse non è neanche a causa tua che la UFA mi ha minacciato di sospendere i finanziamenti. Goebbels ce l’ha anche con me.
RENATE: E perché?
REINHOLD: Perché sono “halbjude”.
RENATE: Tu? Tu… mezzo ebreo?
REINHOLD: Già. Pensavo che lo sapessi.
RENATE: No. Non lo sapevo. (scoppia a ridere, imitata dall’altro. Fanno pace: un rapido abbraccio)
REINHOLD: Si ricomincia! La scena al Music Hall “Regent” di Londra! Presto!
(Esce Renate. Entrano attori, tecnici, ballerini).

SCENA VI – L’IMPRESARIO

Londra. Il night club “Regent”. Nel fondo, lucidi rasi. Tavolini intorno alla pedana.
Musica: in sottofondo un fox-trot.
Entra Sir Robert Lohr, famoso impresario londinese seguito dal suo segretario, Douglas, e da Eleanor, sua fidanzata americana. Eleanor è una bionda incendiaria alla Jean Harlow. Parla con l’orribile accento nasale del Middle West. E ride sempre, a sproposito e troppo forte.

DOUGLAS: Detesto questi localacci angusti e fumosi, dove la gente si accalca in odiosa promiscuità.
ROBERT: Dimentichi che è qui, proprio in questi “localacci”, come dici tu, che si possono fare incontri sensazionali, caro Douglas. L’arte vera si scopre nei luoghi meno ufficiali. Quando passa nei teatri del West End, o di Broadway, diventa roba già masticata, come quella nuova, orrenda invenzione americana, il chewing gum.
Eleanor sta masticando vistosamente una gomma. Colpita dalle parole di Robert, se la toglie di bocca e la incolla sotto la scarpina a spillo.
DOUGLAS: Non intendo minimamente contraddirla, Sir Lohr. Ma personalmente preferisco il confort del bar dell”Old Vic. E non c’è paragone con la calda e ovattata atmosfera del suo Club…
ROBERT: Perché sei uno snob, Douglas. Come tutti i segretari, d’altra parte. E poi, il mio Club sarà ovattato, ma anche le bare lo sono.
ELEANOR: (ride forte) Ah, Robert, come l’hai detto bene!
ROBERT:Cosa, cara?
ELEANOR: “Club”. (pronuncia “cloeub”). Invece da noi a Cincinnati, Ohio… (pronuncia “Sensinari, ouaiou) dicono “Club” (pronuncia “clab”)
ROBERT: Ah, è per quello che ridevi. Pensavo che lo avessi fatto per la mia battuta sul Club-Bara, ed ero un po’ preoccupato…
Douglas ridacchia, Eleanor non capisce.
DOUGLA: Non ho capito il nome della sua città, Miss Eleanor.
ELEANOR: Cincinnati. (pronuncia Sensinari)
DOUGLAS: Sensinari…? Ah, ci sono! Dev’essere Cincinnati (pr. Sinsinati). Da Cincinnatus, celebre console di Roma.
ELEANOR: No, Rome è nell’Alabama… credo. Cincinnati è nell’Ohio.
ROBERT: Non insistere, Douglas. La storia di Roma non è il suo forte.
DOUGLAS: Ha ragione, Sir Lohr.
ELEANOR: È strano, noi americani e voi inglesi parliamo la stessa lingua, l’americano, eppure non sempre io, che sono americana, riesco a capirvi.
ROBERT: Forse perché noi parliamo inglese.
ELEANOR: E non è lo stesso? L’inglese non è un dialetto americano?.
ROBERT: Non esattamente, darling.
DOUGLAS: (furioso) Sir Lohr, sono da 15 anni alle sue dipendenze e mai, dico mai, ho sentito nulla di più mostruoso sulla nostra lingua!
ROBERT: Non è il caso di prendersela, mi pare. Eleanor non ha studiato a Oxford, ecco tutto. Vero, cara?
ELEANOR: Verissimo. Ho studiato alla Scuola Episcopale di Cincinnati.
DOUGLAS: Mi perdoni, Sir. Non volevo lasciarmi andare, ma non c’è niente che mi manda in bestia come la linguistica!
ELEANOR: E allora freni la linguistica!
DOUGLAS: Sì, Miss Eleanor. (a Robert, volendo recuperare la sua dignità) Gli anni passati con lei, Sir Lohr, sono sempre stati improntati ad una perfetta onestà.
ROBERT: Lo so, Douglas.
DOUGLAS: Inoltre, tutti i suoi amici hanno sempre avuto parole di profonda ammirazione per la mia fedeltà.
ROBERT: So anche questo. Però vorrei che si ammirasse anche un po’ la mia, di fedeltà.
DOUGLAS: Touché, Sir. Ammetto di avere un carattere difficile.
ELEANOR: (ride) Difficile! A volte sembra proprio un Cèrebro!
ROBERT: Cèrbero. (a Douglas) La mitologia non è il suo forte.
ELEANOR: Insomma cosa vuoi dire? Che sono un’ignorante? Un’americana illatterata?
ROBERT: “Illatterata”? No, non direi mai niente di simile.
ELEANOR: E faresti bene. Perché si dà il caso che io, a Hollywood, sono considerata un’attrice molto… molto…
ROBERT: Molto.
ELEANOR: Molto informata, ecco. Nessuno mi ha mai detto che ho una cultura enciclopica, questo no...
ROBERT: Certo. La cultura non è il tuo forte.
ELEANOR: Ma sono molto più aggiornata delle mie colleghe, ecco, questo volevo dire. (Douglas ridacchia sotto i baffi, che li abbia o no) E c’è poco da ridere, ha capito, Mister Douglas! (toglie dal secchiello lo champagne e calca il secchiello sulla testa di Douglas.
Musica: uno squillo di tromba annuncia il numero d’apertura dello spettacolo).
ROBERT: Ssttt! Comincia il primo numero!
(Douglas si ricompone. Entra Gustav Holle. Si esibirà nel suo numero di prestigiatore fantasista).
GUSTAV: Mesdames et messieurs.
Wilkommen und bienvenue, welcome!
Sono lieto di presentare al presente pubblico qui presente in mia presenza la presentazione del presente spettacolo… Vogliate scusarmi per il mio inglese, è un po’ ripetitivo, “ist dass so”?... perché sono stato bocciato a scuola e allora, sapete, un ripetente… (risate ai tavoli. Squillante e sonora quella di Eleanor) Il mio numero (tira fuori un numero 1, lo mostra) è il primo, però questo non vuol dire che sono io il numero uno dello spettacolo… (giochetto di prestigio: il numero uno diventa zero. Applausi, poi altri semplici giochetti. Applausi. Quindi Gustav canta, con classe raffinata e virile la canzone: “Im Kusse der Berlinerin – Nel bacio di una berlinese – da liegt so wass Gewisses drin” – c’è qualcosa di speciale).
Im Kusse der Berlinerin
da liegt so wass Gewisses drin

Nel bacio d’una donna di Berlin
si sente qualche cosa di divin
un nèttare special
sapore celestial.

Esci dal ristorante
la porti su da te
e poi sul canapé
baci seduta stante
la bocca sua fremente

Nel bacio d’una donna di Berlin
si sente qualche cosa di divin
un nèttare special
sapore celestial

Si sente un non so che:
magnifico bouquet,
è il vino di Riesling
prosit, Berlinerin!

Applausi dalla sala. Douglas batte le mani con grande entusiasmo, poi, non contento, offre a Gustav un bicchiere di champagne. Gustav scende dalla pedana, accetta l’invito, si siede al tavolo di Robert.
DOUGLAS: Bravò! Ho il piacere di presentarle Sir Robert Lohr, il più grande magnate del cinema e del teatro del Regno Unito! (con meno entusiasmo, anzi, con freddezza) Miss Eleanor, sua momentanea accompagnatrice, americana. (quindi, con gioia) Io mi chiamo Douglas Honeywell, segretario di Sir Lohr.
GUSTAV: (alza il bicchiere) E io sono Gustav Holle, capace di mettere all’asta la sua vita, se ne vale la pena! Prosit!
ROBERT: Prosit!
DOUGLAS: Prosit!
ELEANOR: Mi dispiace, non capisco il tedesco!
Altro squillo di tromba, poi rullio di tamburi. Entra Viktor Viktoria. Canta “ Einen Mann, einen richtigen Mann!“
VIKTORIA: Fruhling kommt, der Sperling piept durch das grune Talchen. (La primavera arriva e l’uccelletto, ecco, cinguetta nella verde valle).
Viktoria porta una mano all’orecchio, ad ascoltare il cinguettio verso destra. Da sinistra risuona un clarinetto che imita il cinguettio.
Bin in einem Mann verliebt
und weiss nicht in welchem

Ob er Geld hat, ist mir gleich
denn mich macht die Liebe reich! (1)
Viktoria va verso un riflettore di sala, lo manovra, lo punta verso il pubblico.
Kinder, heut’abend, da such ich was aus
einen Mann, einen richtingen Mann! (2)
(Refrain)

Einen Mann dem das Herze noch in Liebe gliht
Einen Mann, dem das Feuer aus dem Augen spruht
Kurz, einen Mann, der noch Kusses will und kann
Einen Mann, einen richtigen Mann! (3)
Viktoria cerca l’uomo con il riflettore. Indugia su Robert, poi cerca altrove, quindi torna a fissarsi su Robert.
Manner gibt es dunn und dicht
gross und klein, und krafting, andere wieder
schon und schick, schuchtern oder heftig
Wie er aussieht egal
Irgendeinen trifft die Wahl! (4)
Dal pubblico, la voce di Gustav.
GUSTAV: Sono io, scegli me!
DOUGLAS: No, me!
ROBERT: No, scegli me!
ELEANOR: (seccatissima, tira Robert per una manica) Smettila di fare il Don Giovanni “tenore!”
ROBERT: Tenorio.
ELEANOR: Eh?
DOUGLAS: La lirica non è il suo forte.
VIKTORIA: (canta) Ragazzi stasera mi regalo.
Einen Mann.
(Punta il riflettore su Robert)
Einen richtigen Mann.
(Poi scende in platea. Guarda gli spettatori, poi può dire) Ho detto un vero uomo, lei cosa ha capito? (ad un altro un po’ anziano) Lei? Ma per davvero? E chi l’avrebbe detto che ancora… (ad una signora, giocando sull’ambiguità) Lei che c’entra, viziosetta? Ho detto un uomo… (o altre battute a soggetto. Poi, a tutti) E adesso tutti insieme:
Ragazzi stasera mi regalo
un uomo per davvero, un vero uomo
Einen Mann, einen richtigen Mann
Ragazzi stasera porto a casa
un uomo per davvero, un vero uomo
Einen Mann, einen richtigen Mann.
Torna in palcoscenico. Si siede sulle ginocchia di Robert. Applausi di Gustav e di Douglas. Broncio duro di Eleanor. Poi Viktoria si alza dal grembo di Robert gongolante e si ricolloca in pedana. Va al centro scena. Con gesto plateale si toglie la parrucca e si mostra come Viktor. Applausi.
Riflettore su Robert, esterrefatto. Non se l’aspettava che fosse uomo. Eleanor, invece, si diverte del suo sbigottimento. Alta e squillante la risata di Eleanor, mentre lentamente si chiude il sipario

fine del primo tempo

 

N.B. AGGIUNGERE LE NOTE

1) Mi sono innamorata d’un maschietto / ma non so proprio chi sarà quel tale. /Abbia denaro o no, poco m’importa / l’amore mi fa ricca e mi trasporta!
2) Ragazzi, questa sera mi regalo / un uomo per davvero, un vero uomo !
3) uno che brucia d’amore /uno col fuoco nel cuore / uno insomma che sappia ancora amare / un uomo per davvero, un vero uomo!
4) Di uomini ce n’è di grassi e secchi / di forti, di piccini e di galanti /ce n’è perfino belli ed eleganti / e timidi o violenti oppure becchi / Chiunque sia, per me è davvero uguale:/ ma chi sa dire chi sarà quel tale?

SECONDO TEMPO

SCENA I – IL MAGO

Renate sola in scena. È isolata da un cono di luce che poi si restringerà sempre di più, fino a ridursi alle dimensioni d’una moneta e poi scomparire. Si riaprirà subito dopo sulla scena seguente, come le dissolvenze del vecchio cinema.
Renate ha in mano una lettera. È sconvolta.
In sottofondo musicale, il tema conduttore.

RENATE: Ecco qui come si liquida un amore: quattro righe e via… “Sono a Londra. Ti comunicherò presto il mio indirizzo. Potrai venire a trovarmi, se vorrai. Non ce la facevo più, perdonami. Non potevo compromettere la tua carriera. Jakob”. Laconico, il ragazzo. Se vorrai potrai venirmi a trovare, dice. Come se fosse facile. Mi sono accorta che qualcuno mi fa pedinare. La Gestapo. Ci dev’essere lo zampino di Goebbels, c’è da giurarci. Quanto lo odio. Con quella testa secca e quegli occhi da invasato. Dio mio, sono impazziti. Cosa stanno facendo, in questo paese? Io lavoro, infilo un film dopo l’altro, una collana di pietre false, forse qualche perla, poi, quando esco dal tunnel dell’ultimo film… il paesaggio è cambiato. (con rabbia) Jakob! Maledetto! Perché così gentile, così dolce, così rassegnato? Non potevi lottare, non potevi contrastarli, non potevi batterti? Si tratta di te, della tua vita, Cristo, che ne fai, a Londra della tua vita, non sai neanche l’inglese… Comunque, eccomi sola. Loro, ormai, fanno quello che vogliono. Ma Reinhold…? Perché non ha fatto qualcosa? Non poteva intervenire? In fondo, Jakob è un suo attore, non ha ancora finito le sue scene, c’è il balletto da ultimare… Reinhold…! Reinhold!
Entra Reinhold.
REINHOLD: Dimmi, Renate.
RENATE: Jakob se n’è andato.
REINHOLD: Me l’hanno detto.
RENATE: E tu cosa hai fatto?
REINHOLD: Ho cambiato il piano di lavorazione. L’ho sostituito con uno che gli somiglia.
RENATE: Volevo dire cosa hai fatto per impedire che andasse via!
REINHOLD: Ah. Niente. E che potevo fare?
RENATE: Ti sei rassegnato subito, eh?
REINHOLD: (tenta lo scherzo) Chi è che ha scritto che ci si rassegna subito ai dispiaceri degli altri…?
RENATE: (fredda) L’hai denunciato tu.
REINHOLD: Che ti prende, ora?
RENATE: L’hai detto tu.
REINHOLD: Io? Guarda che ti sbagli!
RENATE: Hai detto che volevi difendere il tuo film. Ricordi?
REINHOLD: Sì, ma…
RENATE: Hai raccontato la mia storia con Jakob e…
REINHOLD: Ora basta, con queste fantasie malate! Io non sono una spia! Non ho denunciato nessuno e non ho difeso nulla! Sono faccende tue, capito? Io non ci voglio avere niente a che fare! Ti conosco da tanti anni ma non sono mai entrato nelle tue lenzuola, né sono andato a curiosare per vedere chi c’era dentro!
RENATE: E allora com’è che Jakob se n’è andato?
REINHOLD: Non lo so e non voglio saperlo… Forse… l’hai stancato, con le tue eterne scene di gelosia. Quello ha preso la palla al balzo e via! Fuga!
RENATE: No! Bugiardo! Tu l’hai venduto, Giuda! Per quanto l’hai venduto? Per tremila marchi? Per trecento metri di pellicola?
REINHOLD: Tu sei pazza, Renate. Forse lavori troppo. Fai qualcosa per i tuoi nervi. Ci sono delle ottime cliniche specializzate, a Berlino. (Reinhold esce, tristemente. Renate è sola. La luce su di lei comincia a restringersi. Lento cerchio sul suo viso pieno di lacrime)
RENATE: Non è vero che l’ho stancato. Jakob era felice, con me. Quella volta che l’ho portato nella mia casa di campagna in Baviera… rideva come un bambino. C’erano le contadine e i contadini in costume bavarese che ballavano sull’aia… E anche noi abbiamo ballato… poi d’improvviso spuntò la luna, ed era così grande che noi ci ballammo sopra…
Un attimo di buio. Esce Renate.

SCENA II – GELOSIA

Londra. L’albergo di Robert. Robert è seduto con un bicchiere in mano. Sembra pensieroso, immerso in un angoscioso dilemma.
Commento musicale in sottofondo: il tema conduttore. Entra Eleanor. È in preda ad una crisi di gelosia. Ed è mezza sbronza.

ELEANOR: Pensi a lui? Sempre a lui? Al pederasta?
ROBERT: Si può sapere che hai?
ELEANOR: Lo so che l’incontri! Sono tre giorni che ti fai vedere in giro con lui! E io qui, a marcire nel bar dell’Hotel!
ROBERT: Hai bevuto?
ELEANOR: Perché, c’è qualcosa d’altro da fare, in questa Londra? Dove vado? A spasso in mezzo alla nebbia? Magari faccio una capatina a Mister Hyde Park, così ci incontro il Dottor Jekyll sottobraccio a Jack lo Squartatore…!
ROBERT: (sorride suo malgrado) Ma che bestialità dici?
ELEANOR: Dico che come fa un uomo che è un uomo a innamorarsi di un uomo?
ROBERT: Io non sono innamorato di nessuno.
ELEANOR: Ah sì? Neanche di me, allora! E perché mi hai fatto venire dall’America?
ROBERT: Per l’esattezza sei tu che ti sei presentata, a tradimento!
ELEANOR: Pensavo di averti fatto una sorpresa…
ROBERT: Infatti è stata una sorpresa, ma…
ELEANOR: … preferisci il tuo “transensuale”.
ROBERT: (ride) No, Viktoria è solo un’amica.
ELEANOR: Perché lo chiami Viktoria, se è Viktor?
ROBERT: Questo è il punto. Più lo frequento e più sono sicuro che il mio istinto non può sbagliare. Quell’uomo è una donna, ma non ne ho le prove.
ELEANOR: Puoi sempre prendere un detective privato.
ROBERT: Brava. È un’idea.
ELEANOR: Una pessima idea. Anch’io ho un istinto, e di donna, poi! Quell’uomo è un uomo, e se tu ti sei innamorato di lui, vuol dire che non sei più un uomo!
ROBERT: E perché no? Anche se fosse come dici tu… Se stessi con un uomo che sembra più donna che uomo, non perderei nulla della mia virilità. Anzi. Sarei uomo due volte.
ELEANOR: “Frogio!” Due volte “frogio!” Ecco cosa sei! E io mi sono proprio stufata. Me ne torno a Hollywood! Ti lascio la porta aperta per quell’ “ermafrollito!” (esce come una furia)
Entra subito Douglas. È in estasi.
DOUGLAS: Sir Robert! Mi perdoni, ma ho sentito tutto e… devo dire… sono felice di aver origliato! Lei gliele ha cantate a quella gallinella yankee! Ebbene, la sua dichiarazione mi autorizza, spero, a confessarle qualcosa che mi pesa sul cuore da anni! Non avrei mai avuto il coraggio di dirglielo se non sapessi che anche lei… no, no, mi lasci finire! Ebbene, Sir Robert… Anch’io! Sì. Anch’io sono dalla parte di LUI! Anch’io preferisco la compagnia dell’Homo sapiens a quella della Foemina insipiens. Ho sofferto in silenzio, provavo vergogna nei suoi confronti, ma ora che ho avuto la rivelazione che anche lei è dei nostri… ho deciso di dire tutto! Grazie. Grazie, Sir Robert! Grazie per avermi permesso di rivelarle i miei più intimi pensieri! (gli prende la mano di scatto e gliela bacia. Robert è pietrificato dalla sorpresa.
Sulla porta aperta si stagliano le figure di Gustav e di Viktoria.
Viktoria prende sottobraccio l’imbambolato Robert ed esce con lui. Gustav e Douglas si sorridono. Douglas gli tende la mano. Gustav la prende. Escono tenendosi per mano.
Musica: un motivo nuziale).

SCENA III – LA SEDUZIONE

Camerino di Viktor/Viktoria. Entra Eleanor, furiosa.

ELEANOR: Sarà contento, adesso!
VIKTOR: Non vedo di cosa… Mi scusi, mi sto preparando per il mio numero e…
ELEANOR: Robert mi ha lasciata!
VIKTOR: Davvero? Mi dispiace, ma non vedo…
ELEANOR: Bugiardo! Lo vede benissimo!
VIKTOR: Cosa vedo? Guarda, bambola, che comincio a seccarmi…
ELEANOR: È tutta colpa sua!
Pausa. Viktor si alza. Si atteggia a duro del cinema.
VIKTOR: Okay, bambola, mettiamo le carte sul tavolo. Tu dici che lui ti ha mollata per causa mia. Beh, sono balle. Io non c’entro per niente, capito? Voi donne quando uno vi pianta siete sempre pronte a dare la colpa a qualcuno. Mai che ve la prendiate con voi stesse. Questo rientra nelle regole del gioco. Tu però stai andando un po’ al di là. Stai esagerando, Miss America. Non solo non ti fai un esame di coscienza, ma vieni a rompere gli stivali proprio a me. A un uomo!
ELEANOR: (interdetta) Già… lei… è un uomo, vero? Se non “vado errando...”
VIKTOR: No, non vai errando, bella. (con virilità un po’ becera) Guarda che non mi mancano gli argomenti per convincerti del contrario…
ELEANOR: (turbata) No, per carità…
VIKTOR: Sai perché si fa vedere in giro con me, il tuo ex-uomo?
ELEANOR: No… Perché?
VIKTOR: (ride, maschilissimo) Perché è vanitoso. Gli piace farsi vedere in compagnia del fenomeno del giorno, tutto qui. Vanità, bambola: solo vanità. Robert mi fa pensare a quel galletto che era convinto che il sole sorgesse solo per sentirlo cantare…
ELEANOR: Carino, questo “aneurismo”. È tuo?
VIKTOR: “Aneurisma?” Le mie vene sono a posto, credo… ah, volevi dire “aforisma”… (le si avvicina) E ora che fai, Miss California? Te ne torni a Hollywood?
ELEANOR: (soggiogata) Sì… ho l’aereo tra poco…
VIKTOR: Così lontano te ne vai?
ELEANOR: Già. Peccato, vero?
VIKTOR: No, non è peccato. Io sono un uomo. Tu sei una donna…
ELEANOR: No, volevo dire…
VIKTOR: Cosa volevi dire, Miss Los Angeles?
ELEANOR: Che mi dispiace andar via. Un po’ mi dispiace…
VIKTOR: (incalzante) E perché ti dispiace, Miss San Francisco?
ELEANOR: Così.
VIKTOR: Per Robert?
ELEANOR: No, quello lì non mi interessa più. Non lo capisco.
VIKTOR: E allora perché? Per Londra, forse?
ELEANOR: Sì, per Londra… Londra è così… così piena di…
VIKTOR: (le alita il fumo sul viso) Di fumo?
ELEANOR: Sì, di fumo. Tutto questo smog mi fa pensare a Los Angeles.
VIKTOR: Sì, però, lì, basta spostarsi sulla costa, non è vero, Miss Santa Monica?
ELEANOR: Ah, sì, ci sono tante spiagge…
VIKTOR: A te piace prendere il sole, vero?
ELEANOR: Oh sì…
VIKTOR: Devi essere ancora più attraente, tutta abbronzata come una contadina del Sussex… (pronuncia “Sassecs”)
ELEANOR: (sempre più turbata) Dove… si trova… il Sussex?
VIKTOR: Dalle parti della Manica, bambola… Se ci vai ti fanno subito Miss Sussex… (sta per baciarla. Eleanor si salva in extremis)
ELEANOR: Che caldo, vero?
VIKTOR: Si brucia.
ELEANOR: Son questi termosifoni inglesi… credo…
VIKTOR: Certo! Cos’altro potrebbe essere?
ELEANOR: Non lo so. Mi sento come la mela stregata di Biancaneve…
VIKTOR: Allora non è prudente morderti…
ELEANOR: No… direi di no. (con uno sforzo evidente si libera dall’abbraccio di Viktor)
VIKTOR: Dove scappi, Miss Mondo?
ELEANOR: Perderò l’aereo, se non vado. Addio, Mister Viktor… Mi dispiace di aver dubitato di lei. Lei… è un vero cavaliere.
VIKTOR: Appunto. Si poteva cavalcare insieme. T’avrei portato a cavallo nella mia Ungheria… attraverso la “puzsta” sterminata e solitaria…
ELEANOR: Che bello… Sarà per la prossima volta. Tornerò. Verrò con lei in Ungheria, adoro Varsavia… Good bye! (schizza via di corsa)
VIKTOR/VIKTORIA: (ride fino alle lacrime)

SCENA IV – “SONO UNA DONNA DAI MILLE UOMINI”

Il Music Hall “Regent” di Londra. I tre ballerini/cantanti indossano smoking turchini e portano parrucche bionde con le treccine alla Cristina Soderbaum. Cantano “Einen schonen Frau”.
In sala sono presenti Gustav, Douglas e Robert.

IL TRIO: Ein ratselhafter Schimmer
ein “je-ne-sais-pas-quoi”
liegt in den Augen immer
bei einer schonen Frau! (1)
Ballano mimando gli sguardi delle belle donne. Lanciano sguardi assassini.
Con un trucco, in un attimo di buio, occhi fosforescenti emanano bagliori come fuochi d’artificio.
Doch wenn sich meine Augen
bei einem vis-à-vis
ganz tief in seine saugen
was sagen dann die? (2)
I tre cantano uno alla volta.
PRIMO: Ich bin von Kopf bis Fuss.
SECONDO: auf Liebe engestellt.
TERZO: Denn das ist meine Welt.
INSIEME: und sonst gar nichts! (3)
INSIEME: Ich bin von Kopf bis Fuss
auf Liebe eingestellt
Denn das ist meine Welt
und sonst gar nichts!

Das ist, was soll ich machen, meine Natur
Ich kann halt lieben nur
und sonst gar nichts.

Manner umschwirr’n
mich wie Motten um das Licht
und wenn sie verbrennen
ja dafur kann ich nicht. (4)

Ballando, ognuno dei tre cantanti/ballerini si fa vicino al fuoco d’un riflettore. Cadono una alla volta, come bruciati. Applausi fra il “pubblico” in palcoscenico. I tre ringraziano ed escono.
Entra Viktor/Viktoria. Ha un frak rosso ed un cilindro di raso rosso. Si siede a cavalcioni su una sedia. Canta: “Ich bin die Frau der tausend Manner” ( Sono la donna dai mille uomini)
VIKTORIA: (canta) Ich bin die Frau der tausend Manner
denn einer nur genugt mich nicht (5)
Ich bin die Frau der tausend Manner
denn einer nur genugt mich nicht!ù
Applausi tra il „pubblico“ in palcoscenico. Viktoria s’inchina. Canta la seconda canzone: “Nimm dich in acht vor blonden Frau’n” ( Fai attenzione alle donne bionde).
VIKTORIA: Nimm dich in acht vor blonden Frau’n
die haben so etwas gewisses
s’ist ihnen nicht gleich anzuschaun’n
aber irgend etwas is es!

Ein kleines Blickgeplankel sei elaubt dir!
Doch denke immer: Achtung vor dem Raubtiez
Nimm dich in acht vor blonden Frau’n
die haben so etwas gewisses!

Achtung vor dem Raubtier
Achtung vor blonden Frauen! (6)
Applausi, come sopra. Viktoria si incina. Canta la sua terza canzone, “Komisc ist die Welt” – Comico è il mondo. Rientrano i tre boys che hanno maschere ed abiti bisex. Portano maschere femminili sul davanti, voltandosi rivelano maschere maschili. Sono la realtà speculare di Viktor/Viktoria, in una canzone/balletto che è un inno all’ambiguità.
VIKTORIA: (balla e canta con gli altri tre) Heute bin ich so,
morgen so

Manchmal weiss ich selbst
nicht wieso
scheinbar will die Welt
dass man sich verstellt
Komisch ist die Welt
Refrain
Doch bin ich Viktor
oder bin ich Viktoria? (7)

N.B. AGGIUNGERE NOTE
Una luce misteriosa / un certo non so che / brilla sempre negli occhi / d’una bella donna. (VERSIONE ITALIANA – Brilla sempre negli sguardi / d’una donna bella ahimé / come luce di petardi / un tal certo non so che).
Ma quando i miei occhi / in quelli del mio vis-à-vis / s’immergono profondamente / che dicono allora? (VERSIONE ITALIANA – Ma allorquando gli occhi miei/ su di lui stan vis-à-vis / sfavillanti come dei / cosa dicon lì per lì?)
Sono dalla testa ai piedi / fatta per l’amore / poiché è il mio mondo / e nient’altro! (VERSIONE ITALIANA – Sono dalla testa ai piedi / fatta solo per l’amore / il mio mondo è qui nel cuore / non c’è cura né rimedi!)
E che posso farci, la mia natura / io posso solo amare / e nient’altro./ Gli uomini mi ronzano intorno / come falene intorno alla luce / e quando prendono fuoco / io non ci posso fare niente. (VERSIONE ITALIANA – E se l’uomo a poco a poco / ronza intorno alla mia luce / e si fa vicino al fuoco / non ho colpa se si brucia! / Che volete che ci faccia? Questa è la mia natura / che vi piaccia o non vi piaccia, sol d’amar mi prendo cura).
VERSIONE ITALIANA – Sono la donna dai mille uomini / perché? Perché uno solo non mi basta. // Voi mi direte: perché proprio mille?/ Perché non vorrei proprio restar casta! // Uno, certo, non va/ forse cento, chi sa? / Andiamo, non è il caso di rischiare / meglio fare di più, meglio abbandonare!
Fai attenzione alle donne bionde / hanno un certo qualcosa/ che subito non si nota / ma è qualcosa che c’è! // Hai ben il diritto / di far l’occhiolino / ma ricordati: fai attenzione alla bestia feroce / fai attenzione alle donne bionde) // Fai attenzione alla bestia feroce / fai attenzione alle donne bionde! (VERSIONE ITALIANA - Fai attenzione alle donne bionde / hanno qualcosa ma non sai che cosa / sembrano fredde, altere, pudibonde / e invece hanno qualcosa, ma che cosa? // È tuo diritto fare l’occhiolino / cercare ovunque l’anima gemella / ma se per caso o perfido destino / trovi una bionda, scappa! Anche s’è bella! // attenzione alle belbe / attenzione alle bionde!)
Oggi sono così / domani cosà /7 Talvolta io stessa / non so perché // in apparenza il mondo / vuole che si finga / comico è il mondo. (VERSIONE ITALIANA – Oggi sono così / domani cosà / di me che sarà? / Ma la gente non so / cosa vuole da me / vuole che finga o no? // Comico è il mondo, oh sì / e chi sono non so…) REFRAIN / Son Viktoria allor / oppure son Viktor?
Entra il regista.
REINHOLD: Stop! Basta così... prepararsi per l’ultima scena! (Viktoria esce. Movimento, trambusto, preparativi vari, Reinhold chiama Robert) Senti! Puoi venire un attimo, per favore?
ROBERT: Dimmi, Reinhold.
REINHOLD: Che succede? Mi sembri sconcertato.
ROBERT: No, sono solo pensieroso.
REINHOLD: Problemi?
ROBERT: No, no...
REINHOLD: Sei preoccupato per la scena con Viktor Viktoria?
ROBERT: Be’, vedi... lei ha il ruolo migliore, naturalmente, e io mi sento un po’, non so come dire, lineare... ecco: lineare.
REINHOLD: Intendi normale... banale?
ROBERT: Diciamo senza fantasia.
REINHOLD: E tu metticela, la fantasia! È l’ultima scena del film… finalmente, è andata in porto anche questa… Bene, ma tu… vai al di là dello script…! Fai sentire la tua sicurezza di uomo!
ROBERT: Con chi? Con quella?
REINHOLD: Con Renate, certo. Perché lei, ora, sarà Viktoria, una donna che si finge uomo: quindi debole e indifesa... Tu invece sei l’uomo, sei uno arrivato, un lord inglese… quando parlo di sicurezza maschile non mi fraintendere, non c’entra niente il “bund” tedesco, il credo nazionalsocialismo: “Popolo, Patria, Fuhrer”, mito della nostra superiorità maschile… Sono tutte balle propagandistiche. Io, poi non credo che la donna sia un uomo mancato, anzi, penso che l’uomo, per certi versi, sia una donna mancata.
ROBERT: E con la costola di Adamo come la mettiamo?
REINHOLD: Balla propagandistica anche quella. Le bibbie, religiose o politiche, si somigliano. Ma lasciamo stare. Io sono considerato un regista di film leggeri, e tale voglio rimanere. La morale del nostro film è questa: la donna, per riuscire, deve seguire modelli superiori, cioè l’uomo. Si traveste per trovare la chiave della sua riuscita sociale. Viktoria diventa Viktor, l’uomo falso. Ma poi, davanti ad un uomo vero, si scioglie come neve al sole. Tu questo devi far sentire.
ROBERT: Il sole?
REINHOLD: Andiamo, non scherzare. Ti ho scelto proprio perché, a quanto m’hanno detto, sei un sano esemplare di maschio. O non è così?
(Pausa carica di suspense. Poi Robert scoppia a ridere).
ROBERT: Per un attimo t’eri spaventato, eh? Bene, che devo fare? Devo mettere i coglioni sul tavolo?
REINHOLD: In un certo senso. Falli sentire. I coglioni ti danno sicurezza? E allora pensa ai coglioni. Sublimali nella recitazione. Trasmettili. Cosa credi che sia il cinema? È un transfert. È una cappa di piombo che cala sulla gente. Tu sei il solo punto luminoso, lassù, alto sullo scherzo: da lì sfavilli la tua verità. Dopo ogni tuo film, ricordatene, anche il garzone del fornaio diventa te. Questa scena è tua, è di Robert, è di sir Robert Lohr. Non farti mettere i piedi addosso da lei. Il padrone sei tu! (si guarda intorno, eccitato per la fine imminente del film. Forte) Allora, è passata una settimana dall’ultima esibizione di Viktor Viktoria al Music Hall Regent di Londra. (entra Viktor. È ovviamente vestito da uomo. Elegante completo chiaro con giacca a doppiopetto e cravatta intonata. Va a sedersi in poltrona) Massima concentrazione! E silenzio, fuori! Hans, fammi il ciak!
HANS: Cinquantasettesima, prima! (fa il ciak)
REINHOLD: Motore! (esce di scena, andando verso la camera fuori quinta. Rimangono in scena solo Viktor e Robert)

SCENA V – UN PROBLEMA DI IDENTITÀ

Londra. Albergo di Robert.
Musica: in sottofondo un motivo americano anni ’30.
Viktor fuma con maschile ostentazione. Magari un sigaro. Robert è in piedi, al tavolo dei liquori.

ROBERT: Ci vuoi un po’ di soda, nel whisky?
VIKTOR: No, grazie. Liscio. E doppio.
ROBERT: (serve da bere) Sai? Ho molto apprezzato la tua ultima canzone sul problema dell’identità.
VIKTOR: (con indifferenza) Ah sì? Mi fa piacere.
ROBERT: Se ne potrebbe fare un disco.
VIKTOR: (stesso tono) Non mi sembra una cattiva idea. Peccato che non ci sia più tempo.
ROBERT: Devi proprio partire.
VIKTOR: Eh sì. Gustav mi ha preparato un calendario di recite davvero massacrante. È un negriero, quell’uomo.
ROBERT: Andate d’accordo, però.
VIKTOR: Gli voglio bene.
ROBERT: Ah sì?
VIKTOR: Voglio dire che gli sono riconoscente.
ROBERT: E perché?
VIKTOR: Perché è lui che mi ha scoperto, in Ungheria. Oddio, è anche vero che avevo molto successo, nel mio paese. Ero l’unico cantante ungherese con un repertorio tutto tedesco al femminile… Ma come diceva un mio amico, che avvenire può avere un poeta bulgaro? Così era per me. Se non fosse stato per Gustav Holle, non sarei mai uscito da Pécs.
ROBERT: Uhm… capisco… (pausa. Poi, a bruciapelo) Ràkosi szente maghyarosc?
VIKTOR: Cosa?
ROBERT: Ti ho chiesto se parli ungherese, in ungherese. Ma tu parli ungherese, non è vero?
VIKTOR: Certo, è naturale, ma tu… Non sapevo che parlassi ungherese.
ROBERT: Il mio ungherese è piuttosto rudimentale, ma basta per sostenere una conversazione.
VIKTOR: (concatena rapidamente) È curioso, ci frequentiamo da un mese e non mi avevi mai detto che parli ungherese.
ROBERT: Ci sono molte cose di me che non sai. Ma torniamo al mio ungherese…
VIKTOR: (non lo fa finire) È vero, in fondo ci conosciamo appena.
ROBERT: Non è grave, tra due che non si conoscono c’è solo un piccolo muro da scalare. Tra due che si conoscono troppo, c’è l’Himalaia.
VIKTOR: Carino, cos’è, un proverbio?
ROBERT: No, detesto i proverbi. Sono la saggezza dei popoli, ma fanno l’idiozia dei singoli.
VIKTOR: To’, sembra un altro proverbio.
ROBERT: Ti dicevo del mio ungh…
VIKTOR: (lo interrompe, parla in fratta, di tutto, per distogliere Robert dall’ungherese) Ti dicevo che ci conosciamo appena, bene, posso dirti qualche cosa di me, anche se noi uomini siamo, come dire, molto più riservati e meno loquaci delle donne… C’è, poi, che non amo parlare troppo di me… sai, per via della mia professione pubblica è necessario che io mi barrichi nella mia “privacy”, come dite voi inglesi… ed anche un pizzico di “mistery”… (ride con falsa disinvoltura) E poi ci sono sempre i cronisti in agguato… e i nemici pronti a colpirti ad ogni passo… a dire male di te… È vero, però, anche se quelli che parlano male di me sapessero quello che penso realmente di loro, parlerebbero ancora peggio, di me… Poi ci sono i critici… non bisogna dar loro l’esca, l’azzannerebbero subito con quei loro canini avidi e aguzzi… Io non do troppo peso, per fortuna… Non c’è neanche bisogno di leggere gli articoli di quei giornalisti velenosi che ti insultano e ti diffamano… Basta solo vedere le loro facce: è una vista che ti ripaga subito… (vorrebbe ghignare come un uomo. Le viene male) Bene, insomma… sono ungherese, questo lo sai già… Ho studiato al Conservatorio Musicale di Pécs… Che paese, l’Ungheria, il solo sapere che è piena di ungheresi che parlano ungherese mi riempie di gioia, ora… Ma quando ero lì mi sgomentava. Ero un povero studente ungherese, non avevo abbastanza soldi ungheresi per diventare un compositore ungherese ed uscire dal territorio ungherese grazie ai concerti ungheresi che avrei tenuto in tutto il mondo non ungherese… Insomma, una sera mi trovavo a cena con degli amici…
ROBERT: Ungheresi? Vedi, io…
VIKTOR: Certo, ungheresi, va da sé, ah quante sciocchezze ho fatto, solo per raccontarle agli amici… ma questo non c’entra… dunque quella sera feci l’imitazione della Dietrich e fui molto applaudito. Mi convinsero a fare una audizione in un locale notturno dove fui subito scritturato. Lasciai gli studi e diventai l’attrazione del night… venivano a vedermi dalla “puszta”, da Budapest e perfino dalla Jugoslavia… sai, Pécs è vicino alla frontiera…
ROBERT: La mia prima moglie era di Pécs.
VIKTOR: Davvero? Mi dispiace che sia morta…
ROBERT: Non è morta. Abbiamo divorziato.
VIKTOR: E lei vive qui a Londra e…
ROBERT: No. È tornata in Ungheria.
VIKTOR: Dove?
ROBERT: A Pécs.
VIKTOR: Ah sì? Beh, è un vero peccato… io comunque ero considerato poco, pochissimo ungherese, a Pécs… Mi chiamavano Sigfrido. Dicevano che il mio tallone d’Achille erano le donne.
ROBERT: Ti piacevano le donne?
VIKTOR: Certo, e non hanno mai smesso di piacermi. Adoro le donne. Così come sono. Le adoro come si adora l’edizione originale di un bel libro. Compresi gli errori tipografici.
ROBERT: Credi che le donne ci siano superiori? A noi uomini, voglio dire.
VIKTOR: Vedi… lo ammetterei se servisse a convincerle che non possono pretendere di essere uguali a noi uomini… (ride, fatuo) Che esseri stupendi, le donne. Pensa: avevo una mia amica di cinquant’anni che, quando era costretta a dire la sua età, non diceva cinquanta. Diceva trenta-venti. A partire dal trentanovesimo anno aveva deciso di rimanere sui trenta. Trenta-undici, trenta-dodici, trenta-diciannove, trenta-venti... Mi diceva: “È tra i trenta e i tentun anni che noi donne viviamo i migliori venti anni della nostra vita…” (non dà tregua a Robert. Cambia discorso, rapida) Dio quanti progetti ho fatto quand’ero in Ungheria… Erano tanti che il mio presente è pieno di vecchie conoscenze; sembra il passato, perché molte cose si sono realizzate… Fra i miei maggiori difetti c’è quello di non avere memoria. A volte saluto dei nemici ai quali ho giurato di non rivolgere mai più la parola. E poi sono distrattissimo. M’è successo di parlar forte all’orecchio di un miope… Una sera ho detto: “Quando sarò vivo…” Forse perché vivevo in Ungheria, terra di ungheresi… In Ungheria si vive di speranza. Non hanno capito, i miei concittadini, che niente uccide come la speranza. C’è gente che crede di vivere di speranza, invece ne muore e nemmeno se ne accorge… Che altro dirti di me? Non mi piace che mi si telefoni, per cui a casa passo ore intere al telefono per impedire che mi si chiami… Oppure mi butto sul letto e stacco la comunicazione. Sono sempre così stanco. Sono tanto assonnato che sbadiglio anche nel sonno. (sbadiglia. Ne approfitta Robert per inserirsi. Ma deve essersi dimenticato della lingua ungherese).
ROBERT: Stanotte ti ho sognato.
VIKTOR: Davvero? Interessante.
ROBERT: Un sogno strano. Non eri uomo. Eri una donna. E facevamo l’amore.
VIKTOR: Non ci trovo niente di strano. Anch’io ti ho sognato, qualche giorno fa. Eri uomo. E non facevamo l’amore.
ROBERT: Ah. E che si faceva?
VIKTOR: Niente. Si parlava del più e del meno. Come adesso.
ROBERT: Non è un sogno fantasioso. Direi che è banalmente reale.
VIKTOR: Si vede che almeno in sogno sono normale.
ROBERT: Per me non è normale… amarti.
VIKTOR: Che vuoi dire?
ROBERT: Che ero innamorato di te. In sogno.
VIKTOR: Io non lo ero affatto, in sogno.
ROBERT: Io ero innamorato di te a tal punto, in sogno, che mi sarebbe piaciuto svegliarmi e prolungare quella sensazione nella realtà.
VIKTOR: Io invece ti trovavo così insopportabile, con la tua aria da esploratore della giungla umana, e con quel tuo aspetto di grande bestia calda a pelo lungo, odore compreso, che non solo non ti amavo, in sogno, ma mi auguravo di non innamorarmi mai di te, da sveglio.
ROBERT: Perfetto. Allora c’è una possibilità d’intesa, fra noi due.
VIKTOR: Ma guarda. E com’è che sei arrivato a questa conclusione?
ROBERT: Perché ti ho mentito dicendoti che ti ho sognato. Non è vero che ti amavo, in sogno. È da sveglio che ti amo.
VIKTOR: Anch’io ti ho mentito dicendoti che ti ho sognato. Non è vero che non ti amavo, in sogno. È da sveglio che non ti amo.
ROBERT: Perché non mi ami?
VIKTOR: Non lo so. Forse perché sono un uomo.
ROBERT: E se fossi donna?
VIKTOR: Se fossi donna, sarei molto più confusa di quanto lo sono da uomo.
ROBERT: Non è una risposta.
VIKTOR: Infatti, non voleva essere una risposta. È una confessione.
ROBERT: Viktoria, ti amo come sei, come si ama un’edizione originale, compresi gli errori tipografici.
VIKTOR: Dove sarebbe, il mio errore tipografico?
ROBERT: Ràkosi szente maghyarosc?
VIKTOR: (colto/colta di sorpresa, balbetta un po’) Daviszen.
ROBERT: (in difficoltà) Micci ghen gyor bala ton?
VIKTOR: Nepko ztar seg sagy.
ROBERT: (in difficoltà) Nogy… puszta debre zen yasz berény.
VIKTOR: (in difficoltà) Szezes keksme baja sja.
ROBERT: (balbetta) Olaz… papa… tata… banya!
VIKTOR: (balbetta) Banya sezen dobritzen.
ROBERT: Bugiardo! Tu non parli ungherese!
VIKTOR: Neanche tu parli ungherese.
ROBERT: Hai inventato tutto!
VIKTOR: Hai cominciato tu.
Ridono. Poi Robert fa l’affondo.
ROBERT: Scopriamo il gioco.
VIKTOR: Poker d’assi.
ROBERT: Vedo. Non è vero. Hai bluffato. Sei una donna, Viktor! Anzi, Viktoria! (silenzio) Ho messo un detective sulle tue tracce. Ho le prove.
VIKTOR: Che prove?
ROBERT: Fotografiche. Sei donna, donna, donna!
VIKTOR: Quali foto?
ROBERT: Mentre ti fai il bagno. Quell’animale ha strisciato fino alla finestra della tua camera, ha scattato e poi è precipitato giù nel giardino. Secondo piano. Per fortuna ha salvato la macchina. Vuoi vederle?
VIKTOR: No, ti credo.
ROBERT: E allora?
VIKTOR: Allora che?
ROBERT: Sei donna. Lo ammetti? Sei donna! Sei donna?
VIKTOR: Non lo so.
ROBERT: Cosa?
VIKTOR: Non lo so!
ROBERT: Ma non puoi negare l’evidenza!
VIKTOR: Non sto negando nulla! Ti dico che non lo so. A furia di giocare a fare Viktor nella vita e Viktoria sulla scena, non ci capisco più niente. Mi ci perdo. È Viktor che fa Viktoria o è Viktoria che fa Viktor? Non lo so più… (pausa) Puoi immaginare come sia nato, questo gioco grottesco. Ero stanca di non essere nessuno. In Germania, ovviamente. Mai vista l’Ungheria. Non c’è niente di peggio che fare un mestiere pubblico e rimanere nel privato. La nostra è una scelta di vita: noi, gente di spettacolo, dovremmo, dopo aver passato i nostri bravi esamini, essere riconosciuti, riconosciuti e ammirati. Noi tutti, piccoli e grandi, rappresentiamo gli altri. Ognuno di noi aiuta a vivere gli altri, quelli che non sono come noi. Come si vedrebbero, come potrebbero vedersi, se noi non li rappresentassimo? Cosa sarebbero senza la letteratura, senza la musica, senza il cinema, senza il teatro? E noi, cosa siamo, se non facciamo il nostro lavoro? Niente. Non siamo. Cos’è un pastore senza pecore? Un giudice senza cause da giudicare? Un medico senza malati da curare? Niente. Noi, noi attori, dovremmo poter lavorare, sempre, come chiunque svolga un lavoro per gli altri… Io non riuscivo ad essere sulla scena, fisicamente. Non lavoravo, come donna. E allora mi sono detta: nella nostra società è più facile essere uomo, per lavorare… e anche per far carriera? La donna è un uomo mancato, secondo gli uomini? Nascere uomini è un dono della natura? Allora è meglio diventare uomo. E io me lo sono regalato, questo dono della natura. Solo che, adesso, non so più dove comincia l’una e dove finisce l’altro… chi sono io? Una donna, d’accordo. Ma una donna che ci ha preso gusto, a fare l’uomo. Tanto che mi chiedo: sono più io come donna o come uomo? Questo è il punto. Cosa mi conviene rimanere, per essere più io? Uomo o donna? Non lo so. E la notte non dormo più.
ROBERT: Tu sei donna, Viktoria. Sei sempre stata donna, non hai mai cessato di essere donna anche quando volevi rappresentare un uomo… o una via di mezzo… E io ti proverò quanto sei donna!
VIKTOR: E come farai?
ROBERT: Ti farò sentire donna!
VIKTOR: Ho capito, ma come?
ROBERT: Come fa un uomo quando sta vicino a una donna. Le fa sentire il suo desiderio… il suo affetto… la sua passione!
VIKTOR: Un uomo può anche provare desiderio… affetto… passione… per un altro uomo!
ROBERT: Sì, ma… insomma, non importa se ti sentirai amata come uomo o come donna! Io… ti sarò necessario!
VIKTOR: Sono così narcisista che potrei anche pensare di bastare a me stessa.
ROBERT: Narciso era un uomo. La vanità è il segno distintivo dell’uomo. La donna crea. L’uomo si elogia per aver creato. (allarga le braccia) Vieni, Viktoria. (è protettivo, gigione) Accetta il mio amore. E il mio denaro, visto che anche quello fa parte di me.
VIKTOR: (dopo un attimo di perplessità, è tra le sue braccia. Gli dice “ti amo”, ma glielo dice nel suo ungherese inventato) Se rezenem ze.
ROBERT: Anch’io se rezenen ze. Tanto.
VIKTOR: Con tutti i miei errori tipografici?
ROBERT: Con tutti i refusi del mondo!
(Bacio).
VIKTOR: (sciogliendosi, pensa subito agli affari) E ora potremmo anche pensare al nostro disco.
ROBERT: Dovrai dire a Gustav che resti a Londra con me.
VIKTOR: Gustav! Mein Gott!
ROBERT: Che c’è?
VIKTOR: Ma è tardi! Lo spettacolo! Dev’essere già cominciato! Abbiamo fatto tardi, con tutte le nostre chiacchiere! Presto! Al “Regent”, Robert, al “Regent”! Povero Gustav, come farà senza “Viktor, l’imitatore delle donne”?
Escono di corsa.

SCENA VI – VIKTOR, L’IMITATORE DELLE DONNE.

Music Hall “Regent”. Viktor ha sostituito Viktoria. È abbigliato esattamente come lei nel numero “Lola Lola”. Canta la stessa canzone.

GUSTAV: Ich bin die fesche Lola
Der Liebling der Saison
Ich hab’ein Pianola
zu Haus, in mein Salon

Sono la frizzante Lola
la più amata della stagion(e)
ho una splendida pianola
a casa, nel mio salon(e)

Sono la frizzante Lola
che ogni uomo vuole amar(e)
e però alla mia pianola
nessuno faccio avvicinar(e)

Se qualcuno alla pianola
mi vuol proprio accompagnare
badi bene, sono Lola:
picchio chi la vuol suonare!

Refrain
Ich bin die fesche Lola
der Liebling der Saison
ich hab’ ein Pianola
zu Haus, in mein Salon

Ich bin die fesche Lola
mich liebt ein jeder Mann
doch an mein Pianola
da lass ich Keinen ran!
Finita la canzone, Gustav si toglie la parrucca bionda e si rivela uomo. Applausi del “pubblico” in palcoscenico – senza escludere quelli della sala. Al “pubblico” si sono aggiunti Robert e Viktoria, che sono entrati da qualche tempo ed hanno assistito al trionfo di Gustav. Douglas, estatico, era già presente. Gustav scende dalla pedana ed abbraccia tutti.
GUSTAV: (sorride a Viktoria) Hai visto come lo tenevo, il busto? Rigido, eretto, come quello degli uomini… E il bacino ben in dentro. In posizione di difesa!
Voci registrate: Bis, bis! Ancora!
Gustav sorride. Allarga le braccia, come a dire: cosa volete farci, è il successo!
Escono Viktoria e Robert, tenendosi per mano. La favola del film è finita. Entra Reinhold, saluta tutti.
Musica: continua “Lola Lola”. Tutti via tranne Gustav. Gustav va alla parete di fondo, tira una tenda/drappo: è il drappo rosso con la croce uncinata già visto nel primo tempo per Lola Lola contata da Viktoria. Entrano due boys. Sono vestiti da militari della S.A. Si mettono ai lati di Gustav, come se volessero arrestarlo. Poi ballano e cantano con lui” Lola Lola”.
Coreografia.

SCENA VII – IL VIOLINO

Dopo il refrain di “Lola Lola” la musica è cessata di colpo. I personaggi sulla pedana – Gustav e i due ballerini – si bloccano in una posizione fissa. Sono “figés” come statue. La luce sulla pedana è ora fredda, livida, spettrale. Quindi un inquietante controluce, con o senza i tre attori.
Ritorna la musica. È il motivo di “Einer Mann, einer richtigen Mann”, suonato al violino ma con un tempo molto più lento ed un colore più malinconico.
In primo piano è entrato Jakob, cono di luce su di lui. Jakob sta leggendo una lettera. Comincia a leggere, poi abbassa la lettera e monologa.

JAKOB: Caro Jakob,
ti ho scritto diverse lettere ma non mi hai mai risposto. Non so se questa mia ti arriverà, spero di essere più fortunata, questa volta. Io sono in una clinica di Berlino. Mi hanno ricoverata per una banale frattura al ginocchio. Ho la gamba ingessata, ma dicono che devono farmi controlli, lastre, eccetera. A me sembrano precauzioni eccessive, ma ormai io non comando più su me stessa. La mia Casa di Produzione, la UFA, dispone della mia vita. Pare che io sia diventata un bene pubblico, e i beni pubblici vanno preservati. Quanti anni sono passati, dal nostro ultimo incontro? Solo quattro, eppure mi sento invecchiata di quaranta. Sono invecchiata di film. Sai quanti ne ho girati, dopo il successo di “Viktor und Viktoria”? Una dozzina, al ritmo di tre all’anno. E poi la radio, tanta radio. Massacrante, no? Infatti sono sempre tanto stanca. Vorrei dormire ma non ci riesco. Il professore dice che sono depressa e che non ci sto più tanto con la testa. Forse è per questo che hanno voluto ricoverarmi. Il ginocchio dev’essere solo un pretesto. Ma non mi lamento: passerà anche questo brutto momento.
VOCE DI RENATE: È un ottobre dolcissimo. Giorni fa passeggiavo – sola ma accuratamente mascherata – lungo l’Unter den LInden. Camminavo tra tappeti morbidissimi di foglie rosse, senza far rumore. Intorno il silenzio più assoluto. Poi, d’improvviso, ho sentito il suono d’un violino. Il tuo violino, Jakob. Ma non era un suono che veniva da fuori. Lo sentivo nella mai testa, come se tu ti fossi seduto nel mio cervello e suonassi solo per me. Sarebbe bello risentirti dal vivo, Jakob.
Jakob ripone la lettera, si volta di spalle e rimane così, sotto la luce che gli spiove sopra.
Entra Renate. Cammina lentamente, appoggiandosi ad un bastone. Indossa un’ampia vestaglia, lunga fino ai piedi. È smagrita e depressa. Il suo monologo è una sorta di lucido delirio che perde via via, progressivamente, il suo tessuto logico. Renate parla con l’immagine di Jakob, come se continuasse a scrivergli, ma senza rivolgersi direttamente a lui, semmai individuandolo in platea.
Renate si colloca in un ambiente neutro. È vicina ad un tavolino da teatro, con lo specchio illuminato da lampade tutt’intorno.
RENATE: Cattivo Jakob. Mi hanno detto che sei violino di spalla alla Filarmonica di Londra. Perché non hai risposto alle mie lettere? O forse l’hai fatto e non me le hanno date. Dev’essere così. (con odio) Testa Secca, sì, Compare Morte, insomma è capace di tutto. Mi fa seguire dovunque, passo dopo passo. (con sarcasmo) Sai che si dice di lui, Jakob? Che è un mezzo sangue! Sì… il renano di pura razza ariana sarebbe un “misto”! (mima) Una vecchina porta a spasso il suo cane, un bastardello piccolo, magrolino, grigiastro e zoppicante. Lo tira continuamente per il guinzaglio, chiamandolo ad alta voce: “Goebbels, Goebbels caro, che fai? Su, vieni avanti, Gobba!” Passa un ufficiale delle SS e apostrofa duramente la vecchina. “Come si permette di chiamare il suo cane come il nostro Ministro?” E lei: “Ma non vede come gli somiglia? È piccolo, magro e zoppica. Ed è un bastardo anche lui!” Carina, no? Questa non te la posso scrivere, figuriamoci, se la censura la fa passare: te la racconterò quando ci rivedremo. (con improvvisa angoscia) Sai, Jakob? Io non sono più quella di prima. Ti ricordi quando rifiutai di essere ficcata nel letto di Hitler, come voleva Testa Secca?... Be’, da allora un’altra s’è messa al mio posto. Una controfigura che mi somiglia più di me stessa. È lei che… sembra incredibile… è stata l’amante di Goebbels. Solo per pochi mesi. Ma da quel momento il Signor Ministro non ci ha mai fatto mancare nulla, a noi due. Avevamo un contratto d’oro con la UFA. Pensa: potevo perfino permettermi il lusso di approvare la sceneggiatura, prima di fare un film. Ero in grado di dire di no, se non mi piaceva. Quando ho detto di no? Vediamo… Mai. Perché non ero io a dire di sì. Era l’altra. Quante ne ha fatte, quella. Non aveva il minimo senso della dignità… Compromessi su compromessi, mi ha trascinato nella merda. (con rabbia) Sono la regina dei compromessi, Jakob! La star del cedimento! La primadonna della commedia “Fate un po’ voi!, l’Imperatrice del regno dove lo schifo non tramonta mai! Ho fatto tutto senza badare alle spese di me stessa! E tutto per la carriera! Ma anche per il bisogno di esporsi, perché questo è il nostro lavoro! Dare la faccia, perderla, forse! (tristemente) Bella carriera, poi. Mi sono divertita solo quando girai “Viktor und Viktoria”. Per il resto, più ero scontenta, triste, depressa, piena di rabbia contro tutti, e più dovevo interpretare quei personaggi leggeri e melensi che non mi riguardavano. Ho fatto la segretaria privata, l’impiegata modello, la musicista romantica, la fidanzata ingenua, la mogliettina fedele… Ho perfino girato un’abominevole operetta alla Cines di Roma, “La canzone d’amore!” E poi, il fondo. Ho toccato il fondo. “Togger”, film di propaganda nazionalsocialista, è stato questo fondo. (rievoca) Testa di Morto mi fa chiamare. Ha saputo che nicchiavo, prima di accettare. Mi guarda come se mi vedesse per la prima volta. Neanche un segno d’intesa, un barlume di tenerezza, un’allusione. Niente di niente. Con lui c’era Fritzsche, sai, quel famoso commentatore politico della radio che parla ogni martedì e ogni venerdì. Io spiego a Goebbels le ragioni della mia titubanza. Gli dico che non mi sento in parte, e altre balle così. Fritzsche cerca di intervenire per aiutare il suo capo e io lo freddo subito: “Herr Fritzsche, lei parla il martedì e il venerdì, oggi è mercoledì, per cui stia zitto!” Testa Secca ride, poi si mette a urlare: “Basta con le chiacchiere! Il paese ne ha piene le tasche d’un cinema che predica l’arte per l’arte! Ha bisogno di ‘Tendenzenfilmen!’ Farai ‘Togger’! Sarai Hanna, la coraggiosa giornalista che sventa un complotto giudaico-bolscevico!”. E, io, pronta: “Sì, Eccellenza!” Che vergogna. E che fiasco.
(Jakob si volta).
JAKOB: Invidio la tua forza di volontà. Tu dai l’impressione che tutto ti sia possibile. Dev’essere una sensazione inebriante. Io invece sono sempre così incerto, è come se mi mancassero le basi d’appoggio… Vedi, Renate: se fossimo rimasti insieme, io avrei fatto del mio meglio per darti quello di cui avevi bisogno. Ma sono sicuro che, anche se ti avessi dato tutto quello che volevi, avresti sicuramente trovato qualcosa che non sarei riuscito a darti. E sai perché? Perché tu sei autosufficiente. Tu ti fai il tuo tracciato, entri nella tua geografia e la percorri da sola, senza l’aiuto di nessuno.
RENATE: (a se stessa, in un delirio crescente) Quella ero io, Jakob! Ma adesso c’è quest’altra che mi s’è messa dentro e m’ha spodestato! Lei s’è fatta costruire un recinto di fili spinati intorno, e ora ci siamo chiuse tutte e due! (Jakob esce lentamente. Più alto il suono del violino) Mettete pure cavalli di Frisia e fili spinati, tirate ancora più su i muri, puntate tutti i cannoni che volete: non potrete impedirmi di uscire, se mi va! (s’è messa davanti al tavolo da camerino ed ha cominciato a truccarsi. Si rimette i capelli nella calotta, poi infila la parrucca bionda. Si toglie la vestaglia – ha già i pantaloni del frac e lo sparato bianco – e si mette la giacca del frac. Trucco e abbigliamento saranno ultimati alla fine del monologo) È venuto il momento di dire addio al cinema, al teatro, a tutto. Loro verranno, ma questa volta non sarà per propormi un film. Fuori c’è il sole, c’è un bel “tempo hitleriano”. Peccato che tutte quelle camicie brune vestano a lutto le strade.
I vecchi e tristi canti
I tetri e brutti sogni
Una bara apprestatemi
Io voglio seppellirli tutti quanti…
Di chi sono questi versi? Di Rilke, mi pare. Vorrei andare un po’ a spasso per l’Under den Linden, ma come si fa con questo ginocchio? I giornali se ne uscirebbero con titoli del tipo: L’ultima passeggiata di Renate Muller claudicante. (sorride. Divaga sempre di più) La città è piena di ragazze slavate e appassite che si danno agli uomini che le pagano, ma le pagano e non le amano, oppure le amano e non le pagano, e loro si trovano sempre povere d’amore e di tutto, e la vita, primavera dopo primavera e autunno dopo autunno, sfoglia i loro corpi e li sfiorisce: solo dei gatti randagi vengono a trovarle, la sera, e le graffiano dolcemente… (ricorda) A Monaco avevo una zia che era rimasta zitella. Un giorno le ho chiesto: “Zia, perché non ti sei sposata?” E lei: “Perché non c’era nessuno”… e dicendo così era quasi bella. (si arrabbia) Ma perché il professore dice che non sono normale? Come può provarlo, lui? Un medico può dire se devo morire o se devo vivere, ma non può giudicare se sono normale o anormale… Non sta ai medici stabilirlo, è roba da filosofi… da logici… da psicologi… No! Non è vero che mi drogo! Sono loro che mi danno la morfina! Per calmare il dolore, dicono!... Ma quale dolore? Io non ho nessun dolore…! (piange sommessamente) Ho solo rimpianti. E pochi ricordi felici. (si guarda allo specchio)
(Comincia a cantare Einen Mann, einen richtigen Mann. Il fondo si anima; tornano a sedersi ai tavoli Gustav, Robert, Eleanor, il regista, Douglas. Il cameriere passa di tanto in tanto. Ma la luce che accende il fondo con gli attori è bluastra e irreale. E la musica – il violino suonato da Jakob che è appena rientrato ma suona per sé, distaccato e lontano – tinge d’assurdo la canzone, che terminerà in un lancinante e straziato accordo).
RENATE: La primavera arriva e l’uccelletto
ecco cinguetta nella verde valle
mi sono innamorata d’un maschietto
ma non so proprio chi sarà quel tale

Abbia denaro o no, poco importa
L’amore mi fa ricca e mi trasporta!
Ragazzi stasera mi regalo
un uomo per davvero, un vero uomo!

Einen Mann, einen richtigen Mann

Einen Mann dem das Herze noch in Liebe gluht
Einen Mann dem das Feuer aus den Augen spruht
Kurz, einen Mann, der noch Kusses will und kann
Einen Mann, einen richtigen Mann.



FINE

 
 
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